La vita, sempre

Celebrata ad Acerra la 39esima Giornata nazionale

Dal 1978, la prima domenica di febbraio la Chiesa italiana celebra la Giornata per la vita, voluta dai vescovi per non «rassegnarsi», già allora, a quella che ancora oggi viene definita da Papa Francesco la «cultura dello scarto». Anche ad Acerra, la sera di domenica 5 febbraio, la Chiesa locale ha vissuto la tradizionale Marcia per la vita, che dalla Parrocchia dell’Annunziata è giunta in Cattedrale. Un corteo di bambini, famiglie, giovani e adulti ha attraversato la città sfidando il freddo con preghiere e canti di gioia. La Comunità dell’Annunziata ha animato la preghiera, prima in Chiesa e poi durante il percorso, coinvolgendo i bambini del catechismo, i giovani, le famiglie e la corale parrocchiale. Molto suggestiva in Chiesa la lettura dell’Inno alla Vita di Madre Teresa: ad ogni frase letta da un medico un bambino esponeva un cartello riportato con l’invito della santa a vivere in pienezza ogni attimo della propria esistenza.

I presuli italiani scrivono ogni anno un Messaggio per l’occasione, e in quello del 2017 ci indicano l’esempio di Santa Teresa di Calcutta invitando tutti a diventare come lei «donne e uomini per la vita», consapevoli che per farlo bisogna «entrare in una rivoluzione civile» e favorire «la difesa di ogni persona umana dallo sbocciare della vita fino al suo termine naturale».Perciò, nel «solco di Santa Teresa di Calcutta», scrivono i vescovi, tre donne hanno raccontato in Cattedrale storie che contribuiscono a «scrivere pagine di speranza per il futuro dell’umanità, proclamando in maniera concreta il Vangelo della Vita», ebbe a dire Benedetto XVI in un’udienza al Movimento italiano per la vita, la cui sezione di Acerra è tra i promotori della Giornata locale.Suor Candida Iannace, superiora delle suore francescane di sant’Antonio che ad Acerra ospitano anziani da oltre 80 anni nell’omonima Oasi di riposo per anziani, ha ricordato che «la vita al tramonto» rimane «preziosa» agli occhi di Dio, e servirla rappresenta un’occasione per vivere concretamente la fede ma anche per costruire la civiltà dell’amore. Parlando del «rapporto intenso» tra l’oasi, la diocesi e la città, suor Candida ha reso infatti chiaro a tutti che il futuro di un popolo dipende dalla «cura dei bambini e dei nonni», la «forza» e la «memoria», con la quale «si realizza nella storia il sogno di Dio». Suor Hoda Sleimann, della congregazione delle suore dell’Immacolata Concezione d’Ivrea ha raccontato la struggente storia di una bambina, accolta in Libano, suo Paese di origine, insieme alla sua famiglia durante la tragica guerra civile. Dopo la morte della mamma, colpita da un cecchino, la bambina cresce affidata alle cure della suora, che ha raccontato la bellezza e la profondità di una «maternità spirituale» a cui nella società di oggi sono più che mai chiamati anche i nonni e le persone anziane. Anche nella guerra e tra i segni di morte può sorgere «la speranza» se ci affidiamo alla Vergine, venerata come Madre del Libano, e ci «rimbocchiamo le maniche», ha concluso la suora parlando con un’inflessione francese che ha reso ancora più coinvolgente il suo racconto. Ma la difesa della vita, se vuole essere credibile, si occupa di accoglierla fin dal suo esistere nel grembo materno, soprattutto quando non corrisponde ai criteri di utilità ed efficienza che dominano la nostra cultura. Lo ha testimoniato in maniera commovente l’avvocato Roberta Cretella, che insieme al marito Alfredo e ai loro cinque figli, hanno fatto la scelta radicale di vivere in una casa di accoglienza all’ombra del Santuario di Pompei, dove hanno accolto e aiutato a crescere una bambina di 480 grammi sopravvissuta all’aborto volontario, e un’altra con gravi disabilità conseguenti alla «sindrome da scuotimento»; la piccola, cinese di origine, non vede, non parla e non sente, e agli occhi di molti le cure di Roberta e del marito appaiono «inutili» e «sprecate», ma per loro abbracciarla e farle sentire il proprio calore umano durante la notte mentre geme e piange, ha lo stesso sapore di abbracciare Gesù Cristo sulla Croce. Roberta ha poi precisato che la vita non è minacciata sempre e solo per motivi economici, ma anche culturali, raccontando la storia di una bambina oggi quasi adolescente figlia di una giovane della Napoli bene e nata grazie al sostegno del nostro Centro aiuto alla vita di Acerra.Il vescovo Antonio Di Donna ha concluso la serata dicendo che «la vita è un dono per tutti», e la sua difesa non è una questione «confessionale» ma «sociale», dalla quale dipende il futuro di una società invecchiata e minacciata nella sua esistenza dal «crollo demografico». Molti «si riempiono la bocca» dei diritti, ha ammonito il presule, ma poi dimenticano quanto Madre Teresa di Calcutta ricevendo il Premio Nobel per la Pace a Stoccolma in Svezia nel 1979 disse, e cioè che «oggi il più grande mezzo, il più grande distruttore della pace è l’aborto», definito dallo stesso Concilio Vaticano II un «delitto abominevole».Perciò, ha ancora detto Di Donna, per essere «credibili» nella difesa della vita bisogna aiutarla «concretamente» in «tutte le sue espressioni e senza parzialità, dal suo nascere – dai bambini nel grembo materno a quelli vittime degli Erode del nostro tempo malati e morti di cancro per l’inquinamento ambientale o a quelli minacciati dalle guerre, vittime della violenza e della migrazione forzata; dai giovani senza lavoro o schiavi della droga e del gioco d’azzardo, alle famiglie in difficoltà, e fino al suo tramonto, con la tutela degli anziani».Anche per questo, prima della benedizione finale, il presule ha invitato tutti a rileggere insieme il meraviglioso Inno alla Vita di Santa Teresa di Calcutta.