«I cristiani rischiano di scomparire se non ritornano a conoscere e seguire Gesù». E’ l’accorato appello di monsignor Giovanni Rinaldi mentre parla ai tanti che il 5 marzo riempiono la Biblioteca diocesana nel Seminario di Acerra. Sono venuti al primo dei cinque appuntamenti fissati dal vescovo per «ritrovare l’entusiasmo della fede e approfondirne i contenuti». Un itinerario per «mettere in pratica» quanto suggerito da Benedetto XVI, che ad ottobre 2012 ha indetto l’Anno della fede invitando i cristiani «ad un’autentica e rinnovata conversione».
Alle otto di sera, fuori cade una pioggia leggera. Dentro, don Emilio Salvatore scalda i cuori con la sapienza di chi conosce, studia e prega la Bibbia. «Viviamo in una società senza padri», è l’inizio di un’ora intensa di meditazione sulla «fede nel Padre». Il professore di Sacra scrittura cita lo psicoterapeuta Claudio Risé e lo «smarrimento dei giovani», vittime «di un padre poco consapevole o fisicamente assente» e impreparati alla «fatica e sofferenza».
Anche il presidente Obama ha indicato nel «recupero del padre» la via per rafforzare l’America, non una «costruzione culturale» ma una figura necessaria per «mettere in moto il processo della vita» e «fondare un’appartenenza».
«Le famiglie in cui mancano i padri sono più povere», da un punto di vista relazionale e della fede. La nostra religione – ammonisce don Emilio – si è «mammizzata», non conosce più la prova e la fatica del cammino.
E, se l’annuncio di Gesù è «la rivelazione di Dio come Padre», lo stesso Filippo – condizionato dalla tradizione religiosa ebraica, che separava l’uomo da Dio – non se ne accorge (Gv 14, 8-11). Invece, proprio «il dialogo tra Gesù e Filippo mostra lo scandalo della fede cristiana».
Attraverso il Figlio siamo chiamati ad immergerci in una paternità che è generazione, vocazione, educazione alla vita. «Credere in Dio Padre – ha aggiunto don Emilio – è riconoscersi in una relazione di amore col Padre attraverso il Figlio», per capire che Dio è «la fonte della mia origine» e il «senso della mia vita». Quando diciamo «Io Credo» ci abbandoniamo al progetto di Dio sulla nostra vita nell’esperienza quotidiana.
Ecco la novità di Gesù: «Dio non è lontano e trascendente», ma «vicino». E’ padre e madre, con i tratti della «misericordia», dell’«amore» e del «perdono». Una paternità che educa con la fiducia che precede quella del figlio, anche lontano, ultimo e peccatore. Il luogo e momento autentico in cui ritroviamo la relazione originaria è la preghiera. Essa, come per Gesù, non è solo supplica ma comunione, intimità, abbandono e fiducia illimitata nel Padre. «Ritorno alla dimensione fontale della nostra origine di persone e cristiani», per «cercare in Lui la consistenza della nostra vita».
Tutta la vita cristiana – ha concluso don Emilio Salvatore prima di leggere una Preghiera al Padre scritta di suo pugno – diventa allora un «abbraccio cosmico», dalla terra verso il cielo e viceversa, per «ricapitolare in Cristo di tutte le cose».