In questa II domenica dopo Natale sostiamo ancora davanti al presepe, contempliamo l’amore di Dio per noi. Vediamo un bambino come tutti gli altri, una mamma e un papà, persone semplici, una stalla (luogo tutt’altro che adatto per far nascere un figlio), un riscaldamento di fortuna (un bue e un asinello), dei pastori e ascoltiamo Giovanni dire che quel bambino è la Parola eterna di Dio che si è fatta carne, è colui per mezzo del quale tutto è stato fatto e «senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste»: proprio lui si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Con la parola “carne” l’evangelista indica tutto l’abbassamento di Dio verso di noi, infatti, ha preso su di sé la nostra natura umana, i nostri limiti, non ha avuto paura di sporcarsi con il nostro peccato per donarci la sua salvezza, per darci il «potere di diventare figli di Dio». San Paolo sottolinea il grande dono che in questo bambino abbiamo ricevuto: «In lui [Dio] ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati… predestinandoci ad essere per lui figli adottivi». Con Gesù siamo figli di Dio!
Dal 25 dicembre ci stiamo augurando “Buon Natale” e adesso già iniziamo a dire: “Hai trascorso un buon Natale?”. Ma da cosa dipende la bontà del Natale? Spesso la facciamo dipendere dalle vacanze che abbiamo potuto vivere, dai regali ricevuti, se siamo riusciti a stare tutti insieme in famiglia, dalla bontà delle cene e dei pranzi, dalla buona salute, tutte cose buone e necessarie, ma il Natale di Gesù è buono di per sé, non dipende da nient’altro, il dono è così grande che nulla può cancellare la gioia di questo tempo. È gioia per tutti, anche per quelli che non possono vivere la festa in famiglia, non hanno avuto e fatto regali, che stanno camminando nel buio. Anzi, la luce del Bambino è proprio per loro: «la luce splende nelle tenebre» – dice Giovanni – essa brillerà sempre, nessuna tenebra la può spegnere. E la testimonianza del pastore luterano Dietrich Bonhoeffer lo conferma. La luce del Natale non è stata spenta nemmeno dalle tenebre dell’isolamento nella cella in un carcere di Berlino, infatti, così scriveva nel dicembre del ’43: «Guardando la cosa da un punto di vista cristiano, non può essere un problema particolare trascorrere un Natale nella cella di una prigione… Un prigioniero capisce meglio di qualunque altro che miseria, sofferenza, povertà, solitudine, mancanza di aiuto e colpa hanno agli occhi di Dio un significato completamente diverso che nel giudizio degli uomini; che Dio volge lo sguardo proprio verso coloro da cui gli uomini sono soliti distoglierlo; che Cristo nacque in una stalla perché non aveva trovato posto nell’albergo; tutto questo per un prigioniero è veramente un lieto annunzio». Aveva compreso la buona notizia del Natale, di Dio con noi, accanto a noi in ogni luogo.
Lasciamoci anche noi illuminare da questa luce, invochiamola in ogni tenebra che può stare dentro e fuori di noi; consoliamoci e troviamo forza nella presenza di Dio accanto a noi, dalla sua piena solidarietà con noi peccatori. E impariamo da Lui a saper stare accanto a chi soffre la solitudine data dai problemi e preoccupazioni della vita. «Accostarsi al Vangelo, meditarlo, incarnarlo nella vita quotidiana è il modo migliore per conoscere Gesù e portarlo agli altri. Questa è la vocazione e la gioia di ogni battezzato: indicare e donare agli altri Gesù» (Papa Francesco). Celebrare un buon Natale, allora, significa lasciarsi convertire dal bambino che nasce. Non è questo il nostro primo Natale, il bambino lo abbiamo già incontrato molte volte e ogni anno, adorarlo nella mangiatoia e nutrirci del suo Corpo nell’Eucaristia, ci deve aiutare ad assomigliare sempre di più a lui, a comportarci come lui si è comportato (cf 1Gv 2,6).
Ci aiuti Maria a celebrare veramente un buon Natale di suo Figlio.
don Alfonso Lettieri