La Cena del Signore

La Messa in Cena Domini in Cattedrale ha aperto il Triduo Pasquale dell’Anno del Signore 2017. Il Vescovo Antonio Di Donna ha ripetuto «a nome della Chiesa» e a imitazione di «Cristo servo» il gesto della Lavanda dei piedi a «dodici amici» della nostra Comunità diocesana.
 

Omelia integrale del Vescovo (.doc)

La Cena del Signore Omelia del Vescovo Antonio Di Donna, Cattedrale di Acerra 13 aprile 2017 Nel TriduoCon questa celebrazione entriamo nel Triduo Pasquale: stasera la Cena del Signore; domani pomeriggio l’Azione liturgica in commemorazione della Passione e della Croce del Signore; e infine, sabato notte, la potente e grande Veglia Pasquale con l’Annuncio della Resurrezione. Stasera, quindi, con questa celebrazione entriamo nel Triduo, e la “Cena del Signore” è il nome che i primi cristiani davano alla nostra Messa, a quella che chiamiamo Celebrazione Eucaristica. Gesù era un Maestro che amava molto i banchetti, molte cose le ha fatte a tavola. Quando voleva chiamare e convertire i grandi peccatori, si autoinvitava a casa loro: con Levi Matteo ha fatto così; con Zaccheo ha fatto così. Amava i banchetti Gesù, tanto da procurarsi pure una brutta nomea: i farisei lo chiamavano “mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori”. Ma la vigilia della sua Passione era una sera e una Cena speciale, nella quale Gesù compie un gesto particolare: prende il pane, pronuncia la benedizione e dice: “Questo pane è il mio corpo che è dato per voi”; poi prende la coppa del vino e dice: “Questo vino è il mio sangue che è sparso per voi”; e aggiunge un comando: “Fate questo”, fatelo “in memoria di me”.  Il Memoriale Perché questa Cena e questo gesto particolare? Gesù vuole con esso dare spiegazione del vero significato della sua morte in Croce; di lì a poco sarà Crocifisso e la sua Croce e la sua morte potrebbero essere interpretate in modi diversi: come un incidente di percorso, un errore giudiziario o il fallimento di un profeta. Con quel gesto, Gesù invece spiega che la sua Croce e la sua morte sono un dono con il quale spezza la sua vita per noi, offrendosi liberamente alla sua Passione per noi peccatori. Questo significa “il mio corpo” e “il mio sangue”!Lo ha detto in particolare San Paolo nella seconda lettura che abbiamo ascoltato, tratta dalla Prima lettera ai Corinzi; è un brano importantissimo: la più antica testimonianza, più antica degli stessi Vangeli, che noi abbiamo sull’Eucarestia, sul corpo donato e sul sangue versato. Paolo dice così: “Io vi trasmetto quello che a mia volta ho ricevuto”; e dicendo questa formula, probabilmente fissa, vuole dire: “Questo è un dato della tradizione, che mi precede, non sono io Paolo che l’ho invitato, ma l’ho ricevuto dagli altri”. Dunque, si tratta di un dato antichissimo, una tradizione che risale fino agli apostoli. E che cosa trasmette Paolo, che cosa ha ricevuto? “Che il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane, rese grazie, lo diede e disse: ‘Questo è il mio corpo per voi, fate questo in memoria di me’; e lo stesso per la coppa del vino: “Questo è il mio sangue sparso per voi”; e aggiunge un importante comando: “Fate questo”, fatelo “in memoria di me”, cioè “ogni volta che voi fate questo, ogni volta che vi radunate attorno alla Mensa – come io sto con voi apostoli, stasera – e prendete il pane, lo benedite, lo spezzate, e dite ‘questo il mio corpo, questo il mio sangue’, ogni volta che voi fate questo, entrate in comunione con me”.Che grande invenzione! Sono solito dire che Gesù è un grande scienziato, ha inventato la cosa più grande della storia! Pensate: se non avesse inventato l’Eucarestia, se non avesse istituito questo momento, l’evento della sua Croce e della sua Resurrezione sarebbe rimasto lontano, isolato nel suo tempo e nel suo spazio, e noi non avremmo avuto modo di entrare in comunione con Lui; mentre la vita cristiana è proprio entrare in comunione con Lui, perché noi diventiamo suoi contemporanei, non facciamo una sceneggiata, un teatro. La Messa non è una commemorazione dentro la quale noi siamo spettatori, con il sacerdote primo attore, che fa la scena, e voi spettatori di questa commemorazione di quando Lui spezzò il pane e benedisse la coppa del vino. No, non è così. La lingua della Chiesa ha coniato addirittura una parola unica, originale, che non esiste nel vocabolario di tutte le lingue, ma solo in ebraico, nella lingua di Gesù: quello che facciamo è “Zikaron”, un termine tecnico molto bello, che significa “il memoriale”, cioè noi facciamo vivo oggi quello che è successo allora. Gesù è contemporaneo a noi, noi siamo contemporanei a Lui; nel mistero, ogni volta che noi celebriamo il suo corpo e il suo di sangue, Lui si rende vivo e noi entriamo in comunione con Lui. “Fate questo in memoria di me”. Il Comandamento NuovoMa c’è un’altra tradizione, che la Chiesa ci fa ascoltare stasera: è quella giovannea, del quarto Vangelo, secondo Giovanni, di cui abbiamo ascoltato un brano proclamato da Francesco, il diacono. La scena è diversa, siamo sempre durante la cena, ma il Vangelo di Giovanni non riporta le parole di Gesù sul pane e sul vino: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue … fate questo in memoria di me”, e al posto di quelle parole riporta una scena bellissima e profonda in cui Gesù stupisce i suoi amici, li scandalizza, provoca in loro uno schok: Lui, il Maestro e Signore, fa il gesto dello schiavo, che consisteva nel lavare i piedi al padrone. Il Vangelo che abbiamo ascoltato scandisce i vari momenti di questo gesto: “Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita; poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui era cinto”; e subito dopo offre la spiegazione di questo gesto: “Capite quello che ho fatto per voi, io che voi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene perché lo sono?; se dunque io che sono il Signore e il Maestro ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri; vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto io”. E’ il Comandamento Nuovo, che ricordiamo stasera in questa celebrazione, il Comandamento dell’Amore: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”, simboleggiato dal gesto del lavarsi i piedi gli uni gli altri. E in questo caso Gesù non dice: “Fate questo in memoria di me”,  ma dice: “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, così facciate anche voi”.E’ il gesto della Carità e del servizio reciproco. Tra poco, e li ringrazio ancora una volta, anche io a nome della Chiesa, a nome di tutti voi, laverò i piedi a questi dodici amici che ho chiamato perché si rendessero disponibili per questo gesto. Io, il vescovo, il capo, il pastore, lavo loro i piedi come segno di una Chiesa al servizio, sull’esempio del Cristo servo. Si tratta di amici molto cari: alcuni sono ospiti della Casa per anziani Oasi Sant’Antonio; altri quattro sono della Cooperativa Arcobaleno; poi abbiamo quattro amici della Locanda del Gigante; e infine, soprattutto, ci sono in mezzo a noi i due carissimi Clemente e Claudio, due ragazzi adolescenti che stanno combattendo la loro battaglia, che saluto di cuore insieme agli altri e a cui voglio molto bene.Grazie per essere venuti. Tra poco laverò loro i piedi, ma il gesto dovrebbe continuare, e anche se il tempo non lo permette, lo assegno a tutti come compito a casa; come io laverò i piedi a loro, così voi dovreste lavarvi i piedi gli uni gli altri: la moglie al marito, il marito alla moglie; i genitori ai figli, i figli ai genitori; gli insegnanti agli alunni e gli alunni agli insegnanti; il parroco ai suoi collaboratori; il vescovo ai suoi preti; il sindaco a tutta la città. Non la finiremmo più evidentemente in questo gesto della Carità e del servizio reciproco, che è ben diverso dal “farsi le scarpe”!  La fede e la vitaMa perché Giovanni riporta nel suo Vangelo il gesto della Lavanda dei piedi al posto delle parole di Gesù sul pane e sul vino? La spiegazione è nel fatto che le parole … “fate come ho fatto io” e “fate questo in memoria di me” hanno lo stesso significato: “Fate questo in memoria di me” è secondo la tradizione paolina, lucana; “Vi ho dato l’esempio perché facciate anche voi come ho fatto io” è secondo la tradizione di Giovanni. Bisogna allora mettere insieme le due tradizioni: l’Eucarestia non è un rito, non è soltanto una celebrazione; quando Gesù ha detto “fate questo in memoria di me”, non ha detto “ripetete delle parole, fate i gesti che ho fatto io”; non intendeva soprattutto questo, ma altro: “Come io ho dato la vita per voi, così voi dovete dare la vita per i fratelli”, questo è il significato, perché il rito della Messa rimanda alla vita. C’è un divorzio ancora troppo forte tra il Sacramento dell’Altare, che è l’Eucarestia, e il Sacramento del Povero da servire. Dobbiamo saldare questa frattura tra il Rito della Messa e la Carità verso i poveri. Tra loro c’è un rapporto strettissimo, al punto tale che chi celebra il Rito della Messa, chi vi partecipa e non vive il Sacramento del Povero, smentisce quello che fa e si merita purtroppo la condanna di Paolo in un altro brano della Lettera ai Corinzi: “Voi state mangiando e bevendo la vostra condanna perché contraddite quello che fate”, perché il significato di “fate questo in memoria di me”è lo stesso di “vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi”. Il valore della gratuità nella società dei mercantiMa stasera c’è posto solo per il grande ringraziamento, il silenzio: è la notte del Giovedì Santo, una notte d’amore per il grande dono che il Signore ci ha fatto. Ma c’è ancora posto oggi per il dono e la gratuità? C’è ancora posto per il “regalo”, il cui significato autentico è proprio “dare qualcosa e non aspettarsi niente”, senza pretendere il contraccambio? C’è ancora posto per qualcosa di gratuito, che viene donato, nella società del commercio e dei mercanti dove vige incontrastata la legge del compare e vendere, e sembra dominare la cultura del famoso proverbio “Ca nisciun fa nient pè senza nient?”. Forse solo chi ama veramente sa donare: penso ad una mamma che dona il suo tempo e la vita per i figli, come le due mamme che vedo dietro Clemente e Claudio; è il dono della vita che si dà e basta, perché le cose grandi della vita noi le abbiamo avute gratis. Qualcuno ha forse comprato la  propria vita, la fede, l’amore, il perdono, il sacrificio? E quanto costano, qual è il supermercato dove acquistare, a quale borsa valori vengono valutate queste cose? Esse non costano, non hanno prezzo, in un mondo dove purtroppo anche quelli che compriamo e chiamiamo “regali” nascondono sempre un desiderio di contraccambio, come quando facciamo i calcoli di quanto mettere nella “busta” prima di andare ad un matrimonio!C’è ancora qualcosa di gratuito oggi o siamo ancora purtroppo già pieni della mentalità del mercato, del “do ut des” – io do una cosa a te e tu dai una cosa a me?Eppure, come ho appena detto, le cose grandi della vita sono gratuite: l’amore, la vita, la fede. Sono le più necessarie e le più gratuite perché non hanno prezzo: io ho avuto la vita dai miei genitori come voi, posso ridargliela indietro la vita che mi hanno dato? No, posso soltanto darla, trasmetterla ad altri, ma non posso di nuovo far tornare la vita, … se potessi, a chi me l’ha data! Le consegneAmici miei, concludo con due consegne di questa Messa in Cena Domini che apre il Triduo Pasquale dell’Anno del Signore 2017.Vivere il dono, la gratuitàMettiamo più dono e più gratuità nella nostra vita. Lo so costa, perché significa non avere niente in cambio, ma l’amore basta a se stesso; io ti amo non perché voglio in cambio qualcosa da te, ti amo e basta; l’amore è gratuito, non sopporta calcoli, non sopporta meccanismi di ritorno.La nostra partecipazione alla Cena del Signore“Fate questo in memoria di me”. Intanto partecipare, e non lo dico a voi, ma a quelli che abitualmente, magari per mesi, anni, sono assenti dall’Eucarestia, soprattutto la domenica. Quale rapporto hanno con il Signore? Come stabiliscono la Comunione con Lui che ha detto: “Fate questo in memoria di me”? Qualcuno si illude di un rapporto “privato” con Gesù, ma Egli ha detto: “Voi siete i tralci, io sono la vite”, e i tralci e la vite devono stare uniti perché se il tralcio non è unito al tronco, alla vite, non serve a nulla! “Fate agli altri quello che io ho fatto a voi”. Ma pur partecipando, bisogna poi vivere la coerenza dell’Eucarestia per saldare insieme il Sacramento dell’Altare – l’Eucarestia appunto, il Corpo e Sangue del Signore – con il Sacramento del Povero.“Fate questo in memoria di me” e “Vi ho fato l’esempio lavando i piedi perché come ho fatto io facciate anche voi”! Dalla registrazione