Incontro ai Nicodemo e alle Samaritane dei nostri giorni

Concluso il primo ciclo di formazione sugli Orientamenti pastorali

Lunedì 16 febbraio si è svolto ad Acerra, presso l’Istituto delle suore di san Giuseppe, l’ultimo incontro di formazione sugli Orientamenti pastorali diocesani per i prossimi anni Riscaldare il cuore, consegnati dal vescovo Antonio Di Donna alla nostra Chiesa particolare a settembre 2014 durante il 34° Convegno ecclesiale diocesano.
Una Chiesa capace di «riscaldare il cuore» è infatti il sogno del vescovo di Acerra, arrivato in diocesi il 10 novembre 2013. Il documento, da cui trarre «indicazioni operative a scadenza biennale», pone al centro «la conversione missionaria della pastorale ordinaria», accogliendo e rilanciando «la strategia pastorale della Chiesa», dal Concilio ai nostri giorni.
Già a settembre, Di Donna aveva promesso di «accompagnare personalmente» il cammino per «l’assimilazione degli Orientamenti pastorali», in particolare delle parrocchie.
Così, a due mesi dal Convegno, il 17 novembre 2014 sono partiti gli incontri di formazione, divisi per le tre foranie che compongono la diocesi – Cervino /Santa Maria a Vico, Arienzo/San Felice a Cancello e Acerra/Casalnuovo – con l’obiettivo di «approfondire alcune scelte di fondo» del documento. Tre incontri per ogni forania. Quello del 16 febbraio ad Acerra ha concluso l’intero ciclo di approfondimento di quest’anno.
«Gli orizzonti per una parrocchia missionaria» è stato il tema del terzo ed ultimo incontro di ogni forania tra il vescovo, i sacerdoti e gli operatori pastorali. Prima, però, Di Donna ha operato una sintesi dei precedenti incontri.
 
La conversione missionaria della pastorale ordinaria
 
Dall’amministrazione alla missione
 
La «conversione missionaria della pastorale ordinaria», che è il cuore del documento e dà anche il sottotitolo agli Orientamenti, era stato il tema al centro del primo incontro, diviso in tre punti.
Innanzitutto, a partire dagli insegnamenti dei papi e dei vescovi italiani, e in particolare da quell’immagine di «Chiesa in uscita» su cui tanto insite Papa Francesco, Di Donna aveva avvertito che non c’è più tempo: dobbiamo passare decisamente «da una semplice amministrazione dell’ordinario ad uno stato permanente di missione».
 
La parrocchia
 
La missione deve passare necessariamente dalla parrocchia, che è il «soggetto principe della pastorale ordinaria», ma se si riduce a «centro di servizi per i sacramenti», certamente «è senza futuro». Non possiamo pensare di continuare a «campare di rendita in un contesto di secolarizzazione», è il monito del vescovo, che ha aggiunto: «Anche se Acerra non è Parigi, i primi segnali di questa secolarizzazione sono già in atto anche da noi». E’ tempo dunque di «correre ai ripari» prima che sia tardi. «La conservazione dell’esistente non porta lontano», ha ancora detto il vescovo, definendo un «errore teologico» la divisione della Chiesa tra «ovili e missionari: la Chiesa è una sola ed è tutta missionaria», ha detto.
 
Concludendo la sintesi del primo incontro, il vescovo ha richiamato le «nostre resistenze a mettere al primo posto l’evangelizzazione», simboleggiate dal profeta Giona, tentato anch’egli di pensare più alla vita interna che ad andare in città. Così, il primato dell’evangelizzazione finisce il più delle volte per infrangersi sul «muro di una pastorale ordinaria che con i suoi ritmi e tempi impedisce o rallenta il rinnovamento missionario delle nostre comunità».
 
Il volto missionario della parrocchia
 
Su «cosa possiamo fare» per la conversione missionaria delle nostre parrocchie è stato centrato il secondo degli incontri di formazione. Di Donna ha detto che già a partire dagli anni 70 i vescovi italiani hanno pubblicato diversi documenti in cui la Chiesa si interroga sulle modalità attraverso le quali «mettersi in stato di evangelizzazione». In particolare, ha citato otto semplificazioni della Conferenza episcopale italiana. Innanzitutto, «per appartenere alla fede», non basta nascere in una famiglia che è cristiana solo all’anagrafe; in secondo luogo, «privilegiare la proposta della fede come libera scelta personale»; poi, mai dare per scontata la fede, che va «verificata e suscitata» continuamente, in particolare quando vengono chiesti i sacramenti; ancora, non concentrare tutte le energie sulla «pratica sacramentale», evitare di credere che la Chiesa cresce in base al numero dei sacramenti che si danno, costruire una «Chiesa viva» di credenti più che di praticanti, mettersi dal punto di vista di coloro che non credono e comunicare in una maniera comprensibile a tutti.
 
Perché una parrocchia diventi veramente missionaria, ha detto Di Donna concludendo la sintesi del secondo incontro, è necessario che si rinnovi nel «volto» e nello «stile». Non a caso, in quell’appuntamento il vescovo aveva offerto alla riflessione dei partecipanti il discorso di Papa Francesco ai parroci romani sulla Chiesa accogliente e un’omelia del beato Papa Paolo VI sulla parrocchia.
 
Lo stile di Gesù
 
Nel terzo ed ultimo incontro, «gli orizzonti per una parrocchia missionaria». «Non impantanatevi nelle beghe di ogni giorno, riducendovi alle cose da fare e come farle, bensì volate alto, confrontandovi su cosa significhi una parrocchia in uscita. Duc in altum, pescate in profondità senza fermarvi alla superficie», è l’esortazione con cui Di Donna ha introdotto il tema al centro della serata: lo stile di Gesù. La parrocchia, ha detto il vescovo, non è una comunità chiusa, il club dei perfetti, bensì è la comunità dei credenti chiamati ad «imitare Gesù, il buon pastore», perché «la vita cristiana è fare tutto come Gesù, vedere i fatti come Lui». E se qualcuno pensa che «ciò non sia possibile», ha ammonito Di Donna, ha dimenticato che «con la Grazia di Dio, tutto è possibile».
Imitare lo stile di Gesù è un dovere per i cristiani, innanzitutto perché Gesù è il Vangelo, il centro vivo della nostra fede, e anche perché la sua vita esprime un metodo, che Di Donna ha indicato in tre forme.
 
La chiamata e l’educazione dei vicini alla missione
 
All’inizio della sua predicazione, il Signore – dopo aver passato la notte in preghiera, una notte in preghiera che «si ripete ogni volta che il Signore chiama ciascuno di noi ancora oggi» – chiama a sé i dodici e poi i settantadue discepoli per «formarli e inviarli», per cui Di Donna ha precisato: «Formazione e missione vanno sempre insieme», perché ciò che conta nel cammino di fede è la «perseveranza», e quindi il «tempo», ma anche la «qualità».
«Educare i vicini alla missione» è l’espressione che, secondo Di Donna, rende attuale il metodo di Gesù per la Chiesa di oggi. Sarebbe un grave errore, infatti, «pensare di poter evangelizzare gli altri senza prima lasciarci evangelizzare noi stessi», ha detto il vescovo, che ha identificato i vicini in coloro che si riuniscono con assiduità nell’Eucarestia domenicale, e quindi collaborano alla vita delle nostre parrocchie. Essi, ha aggiunto Di Donna, «formano una rete, il nucleo vitale della comunità, il resto d’Israele che si fa carico per tutti gli altri».
Per fare ciò, non ci sono tante strade da percorrere, ma solo due, imprescindibili modi, evidenziati con chiarezza nel racconto dell’incontro tra Gesù Risorto e i discepoli di Emmaus, a partire dal quale, ha detto Di Donna, dovremmo interrogarci su come i battezzati di questo nostro tempo, anche ad Acerra, fanno esperienza del Signore Risorto.
 
L’ascolto della Parola
 
L’ardore nel petto dei discepoli di Emmaus che ascoltano Gesù Risorto mentre spiega loro le Scritture deve diventare il nostro ardore nel leggere la Parola di Dio, che anche oggi Gesù continua a spiegare a noi. Questa è la prima strada per fare esperienza del Signore Risorto ancora oggi, nel 2015. Tale strada significa «catechesi degli adulti», definita dal vescovo vera e propria «cenerentola della pastorale in Italia». Perciò, l’impegno pastorale deve sempre contenere anche la consapevolezza della necessità di formarsi, che non è un dovere ma un «bisogno» vitale, perché l’innamoramento con Gesù continui e si ravvivi volta per volta. Erano assidui negli insegnamenti degli apostoli: ciò significa che ogni parrocchia non può più rimandare lo sforzo di pensare alla catechesi degli adulti, alle modalità e ai destinatari.
 
L’Eucarestia domenicale
 
«Si aprirono i loro occhi e lo riconobbero nello spezzare il pane». «La Messa della domenica è un bene troppo grande, sul quale abbiamo troppo ceduto», è l’allarme del vescovo nell’indicare l’altra strada che porta a Gesù Risorto. E pensare che per i primi cristiani «esisteva sola la domenica, il giorno del Signore, la festa primordiale, la festa delle feste». Tanto che lo stesso Di Donna ha in mente per il futuro «una catechesi sulla Messa» da proporre alla nostra Chiesa particolare. E’ dunque compito delle comunità parrocchiali «curare la qualità delle nostre celebrazioni eucaristiche perché i fedeli escano con animo missionario». Celebrazioni serie, semplici ma allo stesso tempo belle, senza fronzoli, capaci di far innamorare della Messa i fedeli, troppe volte messi a dura prova, al limite dell’eroismo, da celebrazioni poco significative e attraenti se non addirittura sciatte e noiose.
 
Il primo insegnamento da trarre dal metodo di Gesù si traduce pertanto nella necessità di impostare «cammini di fede per educare alla Parola di Dio e all’Eucarestia», perché «tutte le altre vie sono rivoli e traverse», che senza il «corso principale» e la «strada maestra» della Parola e dell’Eucarestia «non valgono nulla».
 
Gesù accoglie le moltitudini
 
«Gesù incontra ed accoglie le moltitudini. A differenza degli Esseni, i puri, i monaci del deserto che non si sporcavano con la città, Egli si contamina con la città e addirittura con il lebbroso. Le folle che vengono da lui non sono infatti sante né fatte di gente confessata e pura, tanto che per loro lo stesso Gesù usa qualche volta l’appellativo «adultera». Molti vanno solo per interesse. Eppure, ha detto il vescovo, «le folle del Vangelo somigliano molto alle nostre», perché anche da noi la gente viene spesso solo per interesse. Ma come Gesù, che «si commuove per le pecore senza pastore», anche noi dobbiamo «accogliere le moltitudini», i tanti «che hanno un rapporto con la comunità solo in alcune occasioni particolari», come la «richiesta di sacramenti». «I sacramenti portano in Chiesa quasi tutti», ha detto Di Donna, e «questi momenti, che a volte potrebbero essere sciupati da atteggiamenti di fretta o da freddezza da parte nostra, devono diventare preziosi momenti di ascolto e di accoglienza». «Stiamo attenti anche oggi ai mille modi in cui lo Spirito Santo continua ad operare», certi che «non si è accorciato il braccio della misericordia del Signore», ha esortato Di Donna, con l’invito ad «elevare la qualità dei nostri itinerari di fede in preparazione ai sacramenti» e «privilegiare il coinvolgimento dei genitori nel cammino dei figli».
 
Gesù è itinerante
 
«Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A partire da quanto Gesù stesso afferma di se stesso nel Vangelo, il vescovo Di Donna ha illustrato il terzo insegnamento che ci viene dal metodo del Signore: farsi «itinerante», una vera e propria «rivoluzione» per la parrocchia.
«Dovremmo tutti un po’ vergognarci del nostro stare fermi di fronte allo stile itinerante di Gesù», ha ammonito il vescovo, esortando a «trovare tempo per i dialoghi personali, a tu per tu». Per cui, la parrocchia deve «riservare tempi e forze per l’annuncio del Vangelo fuori le mura». Come Gesù, che oltre ad incontrare le folle, aveva tempo anche per i dialoghi personali, pure la parrocchia e il parroco devono trovare «forme e modi nuovi per andare incontro ai Nicodemo e alle Samaritane di oggi», soprattutto coloro che non vengono in Chiesa, ed essere così capaci di «unire cura ordinaria e missionarietà». Abbiate «il coraggio della novità che lo Spirito chiede oggi alle nostre comunità», ha esortato il vescovo.
Consapevole che «qui si tratta di una rivoluzione di mentalità», Di Donna ha incoraggiato a pensare la parrocchia non più come comunità «residenziale e stanziale», non più come «ovile per le pecorelle», ma come «comunità in uscita», operando una vera e propria «revisione di stile».
Sullo stile di Gesù, il quale «rovescia le posizioni» andando incontro alla gente, Di Donna ha infine invitato a «fare scelte coraggiose», che inevitabilmente hanno un «costo» e comportano «sofferenza»; ha poi esortato a «decidere», a «darsi delle priorità», a «tagliare gli orpelli» e a «concentrarsi sull’essenziale», cioè la «missione», con «al primo posto la Parola e l’Eucarestia», perché «la parrocchia che continua ad essere il centro di sacramenti non ha futuro», e se la Chiesa non finisce, rimanendo tale in eterno, le sue «forme storiche» possono cambiare.
Tra le cose concrete per avviare questo cammino, Di Donna ha ancora ribadito la «visita sistematica alle famiglie», da cui magari possano nascere «centri del Vangelo», perché la parrocchia torni a vivere nelle case, nelle chiese domestiche, e diventare così veramente «famiglia delle famiglie».