Con questa parabola Gesù ci richiama alla serietà della vita, al dono prezioso del tempo, ci ricorda che la ricchezza in se stessa non dà nessuna assicurazione di felicità e di salvezza.
Certo, il grido inascoltato del ricco ci inquieta, Abramo sembra non avere pietà, ma non fa altro che prendere atto della realtà: le occasioni di conversione il ricco le ha avute e tra queste c’era proprio la presenza di Lazzaro alla sua porta che continuamente lo richiamava alla condivisione dei suoi beni, alla relazione con gli altri. Adesso non c’è più tempo, ormai l’abisso invalicabile è aperto e non perché Dio è severo, ma perché fa di tutto per aiutarci a ravvederci, ma rispetta anche fino in fondo le nostre scelte. Infatti, «ha creato l’uomo ragionevole conferendogli la dignità di una persona dotata dell’iniziativa e della padronanza dei suoi atti» (CCC n. 1739). Tutto ciò ci aiuta a riflettere su come stiamo vivendo: il molto o il poco che abbiamo sta scavando abissi (lo stiamo vivendo solo per noi) o sta costruendo ponti, relazioni con gli altri che un giorno ci accoglieranno in paradiso?
Il ricco conosce Lazzaro, infatti, lo chiama per nome, ma non gli ha mai dato niente e adesso si rende conto che dei suoi lauti banchetti non è rimasto per lui nemmeno una goccia d’acqua, che le sue ricchezze lasciate ai fratelli sono per questi un grave pericolo come lo sono state per lui.
Ora sente sulla sua pelle tutte le conseguenze del suo modo di vivere, vuole avvisare i suoi fratelli ma non può, vuole che li avvisi Lazzaro ritornando dai morti: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro» – dice Abramo. Perché per «convertirci, non dobbiamo aspettare eventi prodigiosi, ma aprire il cuore alla Parola di Dio, che ci chiama ad amare Dio e il prossimo. La Parola di Dio può far rivivere un cuore inaridito e guarirlo dalla sua cecità» (Papa Francesco), ci guida nel cammino, ci aiuta a restare liberi e non prigionieri di ciò che abbiamo, ci dona il coraggio di guardare in faccia le persone, di condividerne gioie e speranze, tristezze e angosce (cf GS 1); ci fa tendere «alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza». Ci aiuta a non spaventarci della battaglia che dobbiamo fare per mantenere salda la fede, perché anche questa non è una assicurazione stipulata una volta per sempre, ma va vissuta quotidianamente, rinnovata con gesti concreti, con una vita che la professa e non con semplici parole ripetute a memoria. «La fede – ci ricorda san Paolo – viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17).
Abbiamo una sola vita ed è eterna, non possiamo permetterci di sprecarla, non possiamo investire i nostri giorni in qualcosa che poi non resta. San Paolo nei versetti prima di quelli che abbiamo ascoltato, raccomanda a Timoteo e oggi a noi: «non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via. Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci. Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti» (1Tm 6,7-10). Facciamo attenzione a cosa ci stiamo procurando: gioia eterna o tormenti; consideriamo seriamente che Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero per noi, per arricchirci.
Maria ci aiuti a saper vedere ogni Lazzaro seduto fuori alla nostra porta, ogni occasione che ci è data di conversione; chiediamo che inquieti il nostro cuore, ci ricordi che tutto ciò che abbiamo fatto al più piccolo dei nostri fratelli, lo abbiamo fatto a Gesù (cf Mt 25,40).
don Alfonso Lettieri