don Salvatore Petrella si racconta

Un semplice e umile strumento nelle mani di Dio

Salvatore Petrella nasce ad Acerra il 4 maggio del 1929.
Viene ordinato sacerdote ad Acerra il 20 luglio 1952 da monsignor Nicola Capasso.
E’ nominato subito viceparroco della Cattedrale di Acerra,
di cui diventa parroco nel 1971, fino al 2004.
Da diversi anni è rettore della Chiesa dei santi Cuono e Figlio, patroni della città.

Questa estate sarà prete da 70 anni, mentre il 4 maggio saranno 93 le “primavere”. Per più di mezzo secolo parroco della Cattedrale di Acerra, don Salvatore Petrella è da diversi anni rettore della Chiesa dei santi Cuono e Figlio, protettori della città.
«A chi si figl?». Nella inevitabile domanda rivolta a chiunque ancora oggi incontra sul suo cammino, ci sono tutta la passione e l’abnegazione con cui l’anziano sacerdote ha accompagnato la vita spirituale e sociale di intere generazioni. Nonni, padri, figli e nipoti: non c’è alcuno che almeno una volta nella vita non abbia incrociato questa richiesta, pronunciata con energia, ma anche paterna e amorevole. Con quella stessa semplicità, don Salvatore ci apre le porte della sua casa per una intera mattinata caratterizzata da una genuina ospitalità da sempre nel cuore di questo lavoratore nella vigna del Signore, che subito confessa: «Ho sempre voluto fare il prete, posso dire che sono nato prete».
Del resto, nel nostro animo era vivo il desiderio di ascoltare l’uomo prima che il sacerdote, il quale si è speso per anni al servizio della nostra diocesi e della nostra gente. Perciò egli continua: «Già a tre anni vedendo passare a cavallo sul corso davanti casa dove abitavo con la mia famiglia monsignor Nicola Capasso (vescovo di Acerra dal 1933 al 1966, ndr), ho intuito che il sacerdozio potesse essere la mia strada».
E così è stato: «Dopo le scuole elementari potevo scegliere se proseguire gli studi o iniziare il corso di avviamento al lavoro. Tra le due ovvie possibilità, scelsi il Seminario diocesano di Acerra».
Proprio lì iniziò la sua formazione, che continuò a Napoli presso Capodimonte per gli anni del Ginnasio, e infine il Seminario di Posillipo per lo studio della Teologia. Fu ordinato nel 1952, il 20 luglio di quest’anno festeggeremo il 70esimo anno di sacerdozio.
Giovane prete, fu subito nominato vice parroco della Chiesa Cattedrale, e nel 1971 parroco, incarico che ha ricoperto fino al 2004. Un tempo che rappresenta il cuore del suo ministero sacerdotale e della propria missione, che ricorda così: «Ho camminato sempre a braccio con le persone, che erano, e ancora sono, una mia costante preoccupazione. Molto spesso lasciavo il piatto a tavola e correvo dalla gente, senza badare a quale parrocchia appartenessero, amministravo i sacramenti, benedivo le abitazioni. Avevo rapporti con la gente “e miezz e vic!”».
Nonostante l’età, dal 2004 ad oggi, si è preso cura della Chiesa dei Santi Cuono e Figlio, nostri patroni, e a lui dobbiamo la Chiesa così com’è adesso.
Parlando della sua vita, don Salvatore non ci racconta delusioni o rammarichi, perché «solo la fede in Cristo offre soddisfazione: se tu credi, la salvezza viene da Lui, da Cristo», esclama.
Questo rapporto straordinario con il Signore è stato fondamentale anche per superare le difficoltà incontrate lungo il cammino: le modifiche liturgiche postconciliari e la scelta del celibato, per esempio.
«Noi siamo solo uno strumento nelle mani di Dio!». Verso la fine della nostra chiacchierata, don Salvatore ci rivela il «motto» della sua vita, perché solo dal Signore Crocifisso e Risorto, che celebreremo tra pochi giorni, riceviamo la «forza nella debolezza», e l’energia per «l’impegno a costruire la fraternità sacerdotale», fatta di dialogo e promozione reciproca.
«Vivere ogni giorno l’amore di Dio, mettendo a disposizione le proprie capacità a servizio dell’altro, non è forza nostra, ma di Cristo che è morto sulla croce», sottolinea con energia ancora una volta don Salvatore, augurandoci alla fine del nostro incontro di imparare a «riconoscere che solo Gesù è l’unico maestro e guida da seguire», per cui è fondamentale «mettere a disposizione i propri talenti», e soprattutto «avere il coraggio di parlare quando si è in difficoltà o quando si cade», altrimenti «se fa ‘o call e non ti alzi più». Del resto, «noi non siamo niente, il modello è Lui».

Vincenzo Guadagno
Ciro Maione
Luca Piscitelli
Giuseppe Sarnataro