Messa del Crisma

Preti contenti. Omelia Messa Crismale

Omelia del vescovo

 

Questa solenne celebrazione viene chiamata Messa del Crisma. Più volte questo olio profumato viene indicato, nei testi di questa celebrazione, come olio di esultanza. Viene sempre abbinato al concetto di letizia, di gioia. Abbiamo sentito da Isaia: «Mi ha mandato per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro l’olio di letizia invece dell’abito da lutto».

E tra poco ricorderemo Davide, il quale cantò questo olio che avrebbe fatto «brillare di gioia il nostro volto». E come se non bastasse, ripeteremo che l’unzione di questo profumo rende «lieto e sereno il nostro volto». È proprio un’insistenza della liturgia sul tema della letizia.

Cosa vuol dire? Vuol dire che con l’olio di esultanza non è assolutamente lecito essere tristi. Lo scrittore cattolico Georges Bernanos mette sulla bocca del vecchio curato di campagna, nel libro “Diario di un curato di campagna”, questa frase molto bella: «Il contrario di un popolo cristiano è un popolo triste, un popolo di vecchi».

Cari fratelli presbiteri, tra poco vi rivolgerò la domanda di ogni anno: «Volete rinnovare le promesse fatte nel giorno della vostra ordinazione?». Penso che, in fondo, chiedere a voi di rinnovare le promesse dell’ordinazione significhi chiedere: «Siete ancora contenti di essere preti? Siete contenti di essere preti?».

Alcuni ritengono che sia impossibile oggi essere preti ed essere contenti.

 

A parte gli scenari generali della guerra e delle guerre, pensiamo alle delusioni pastorali, per cui possiamo dire anche noi, come gli apostoli, «abbiamo lavorato tutta la notte senza prendere nulla?». Quelle delusioni, fatiche, sulle quali più volte mi sono fermato nella Messa crismale, e non è il caso di tornarci sopra.

Ma è possibile essere preti contenti oggi, nell’epoca che qualcuno ha chiamato epoca delle passioni tristi?

Eppure, io vedo che siete contenti di essere preti. Vorrei chiedervi: «Qual è il segreto della vostra gioia? Avete forse qualche ricetta segreta?».

Non penso infatti che vi capiti di essere sempre applauditi e popolari. Anche voi talvolta avvertite l’ostilità dell’enorme drago rosso che si è infuriato contro la donna dell’Apocalisse e se ne è andato a fare guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che custodiscono i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù.

Eppure siete contenti. Nemmeno immagino che la ragione della vostra gioia sia il risultato, il prodotto del vostro lavoro. Purtroppo l’ossessione per le statistiche contagia un po’ tutti, ed esse decretano inesorabilmente la riduzione dei numeri e il declino dell’autorevolezza del prete e della Chiesa.

Eppure siete contenti. Il vostro essere contenti di essere preti non può essere nemmeno il fatto che avete realizzato il vostro sogno, il desiderio, quello che vi ha spinto e che avevate quando siete stati ordinati.

Infatti molti di voi, specialmente quelli più avanti negli anni, sono diventati preti con una certa immagine di prete. Il prete che va in parrocchia, la sua parrocchia, che trova un popolo che lo aspetta, lo ascolta. Il prete che gestisce il suo ruolo esprimendo la sua originalità.

Adesso invece, in questi anni, vivete un ministero che si deve inventare un modo nuovo, forme nuove di vita pastorale, che spesso trovano resistenze, anzitutto in voi, e comportano fatiche pesanti.

Eppure siete contenti. Escludo che siate contenti perché il vescovo sappia fare bene il suo mestiere. Anzi, ci sarebbe molto da dire sulle sue scelte e sui suoi limiti.

Eppure siete contenti. Anch’io, vescovo, sono contento. Vorrei condividere la mia gioia con voi, però riconosco che se dico che sono contento sono poco credibile, perché mi sembra che mi dicano: «Beh, è facile per te essere contento, tu stai fuori dalla mischia, dai fastidi delle parrocchie, dalle pretese della gente, dall’incalzare degli impegni».

Ecco, insomma vorrei chiedere a me e a voi, cari fratelli presbiteri, di rivelare il vostro segreto: «Perché siete contenti di essere preti?».

Penso che il segreto sia questo: siete contenti perché «lo Spirito del Signore è sopra di me. Per questo mi ha consacrato con l’unzione». Siete preti contenti, perché Lui ci ha resi «degni di stare alla sua presenza, a compiere il servizio sacerdotale». Siete preti contenti, perché ci ha affidato la gioia dell’annuncio del Vangelo. Siete preti contenti perché «ci ha scelti e costituiti dispensatori dei santi misteri».

E allora? Allora coraggio, fratelli presbiteri, ai quali in questo momento mi rivolgo in particolare, visto che quella del Giovedì Santo è la giornata del vostro compleanno.

Coraggio! La tristezza non deve prendere il sopravvento. Quella distanza, come la chiama Papa Francesco, dolciastra, quella accidia, uno dei cattivi spiriti che si impadroniscono dell’anima, come denunciavano i grandi monaci del deserto nell’antichità. Questa tristezza dolciastra, questa accidia non può, non deve prendere il sopravvento.

Il grande scrittore cattolico Léon Bloy diceva che «esiste per un cristiano, per un prete, una sola tristezza: quella di non essere santi». Siate gli uomini della festa, la gioia dilaghi dal vostro cuore e contagi coloro che vi accostano. Non ci sia problema umano che freni l’onda lunga della vostra letizia. Nessuna delusione pastorale spenga il sorriso sulle vostre labbra.

Tra poco ripeterete, ripeteremo, l’offerta della nostra vita promettendo al Maestro assoluta fedeltà. Questo offertorio rinnoviamolo, rinnovatelo a voce spiegata, non a denti stretti. E lo dico anzitutto a me: «Coraggio, non fate prevalere il lamento sullo stupore, lo sconforto sulla gratitudine, il calcolo sulla speranza».

E siccome si fa festa sempre insieme, mai da soli, implorate carissimi preti il dono della comunione! Tutti quelli che hanno ricevuto l’olio dell’esultanza siano sempre insieme. Ricordate il salmo 133, che canteremo alla Comunione: «Ecco come è bello! Ecco come è soave che i fratelli vivano insieme, è come olio profumato sul capo che scende sulla barba, sulla barba di Aronne».

E un’ultima raccomandazione. Dite a tutti, a tutti, che siete preti contenti di essere preti.

Ditelo anzitutto ai giovani, ai nostri giovani fratelli che si stanno preparando a esserlo. Ditelo a Vincenzo, a Giuseppe, a Luca, a Carmine, a Vincenzo, dite loro: «Sappiate che noi siamo contenti di essere preti».

Ditelo al popolo delle vostre comunità, ditelo ai laici, alle laiche, ditelo alle religiose, ai consacrati, alle consacrate, ditelo ai vostri collaboratori parrocchiali: «Sappiate che noi siamo contenti di essere preti».

E possa la grazia di questo giorno speciale confermare questi nostri desideri.

Antonio Di Donna