Testimone della risurrezione

L’omelia del vescovo nella messa in suffragio per papa Francesco

Testimoni della risurrezione: questo caratterizza gli apostoli e i loro successori

Le grandi feste cristiane, soprattutto Pasqua, non si esauriscono in un giorno del calendario, quest’anno il 20 aprile 2025. Esse durano a lungo, il tempo di Pasqua arriva fino a Pentecoste, e sono i cosiddetti “50 giorni dell’alleluia”. E in questa prima settimana, ogni giorno per la liturgia della Chiesa è Pasqua. E dunque nella Parola di Dio ascoltiamo i racconti pasquali, quei brani dei vangeli nei quali, dopo la croce, il Signore risorto si manifesta e si incontra vivo con i suoi discepoli, apre loro il cuore e la mente all’intelligenza delle scritture, ma soprattutto mangia con loro. Su questi racconti è basata la nostra fede, sulla testimonianza di uomini e donne che hanno visto Gesù vivo, si sono incontrati dopo il dramma della croce e hanno mangiato con Lui. Essi sono i testimoni, come afferma in conclusione il passo del vangelo che è stato proclamato: “Di questo voi siete testimoni”. E questa è la caratteristica degli apostoli e di tutti i discepoli: essere testimoni della risurrezione del Signore. Quando di lì a poco bisognerà sostituire Giuda che ha lasciato il gruppo dei “Dodici”, come primo e unico criterio a cui ispirarsi, gli apostoli dicono: “Dobbiamo scegliere un uomo che sia stato insieme con noi testimone della risurrezione del Signore”.

Papa Francesco, che ancora nella Pasqua ha fatto il suo passaggio da questo mondo al Padre, è il testimone della risurrezione del Signore.

 

La preghiera della Chiesa di Acerra e di tutto il mondo sale a Dio per Pietro

Oggi, in questa celebrazione, la Chiesa di Acerra si unisce alla Chiesa diffusa su tutta la terra e prega per lui, che ripeteva spesso: “Per favore, non vi dimenticate di pregare per me”. Stasera lo facciamo in maniera speciale, tutti insieme: come Chiesa di Acerra preghiamo il Signore per lui! Come quando, dicono gli Atti degli Apostoli, Pietro era in prigione e “una preghiera saliva dalla Chiesa, dalla comunità per lui”. In questo momento noi facciamo proprio questo, preghiamo per Pietro! Perché, amici e amiche, il Papa – comunque si chiami: Benedetto, Francesco, Giovanni Paolo – è Pietro! E’ il suo successore! Per questo celebriamo l’Eucaristia in suo suffragio: ne ha bisogno!

L’antica sapienza della Chiesa prevede ben nove giorni, i cosiddetti “Novendiali” per il papa morto, perché chi ha avuto maggiori responsabilità nella Chiesa può aver peccato di più e ha bisogno di preghiere di suffragio! Anche Pietro, dicono i vangeli, ha rinnegato il Signore tre volte. Il primo papa ha rinnegato il Signore! I vangeli non sono libri della nomenklatura, non censurano la fragilità degli apostoli e la loro debolezza: registrano il peccato di Pietro, il suo rinnegamento del Signore, come anche, dopo, le sue lacrime.

Si attribuisce al grande monaco san Bernardo di Chiaravalle, un apologo in cui, riguardo alle doti necessarie a chi deve assumere il governo della Chiesa, afferma: “Se è santo, preghi per noi; se è dotto, ci istruisca; se è prudente e saggio, allora sì, ci governi”. E lui stesso, papa Francesco, diceva spesso: “Chi sono io? Io sono un peccatore!”. Ecco perché la prima cosa che facciamo stasera è pregare per lui, perché ne ha bisogno.

 

Il pastore primo della Chiesa a cui il Signore ha affidato il suo gregge

Ma allo stesso tempo ringraziamo il Signore per avercelo dato. Al di là della tanta retorica di questi giorni, anche di una certa dose di ipocrisia, da parte soprattutto di uomini delle istituzioni e di governo, che adesso ne parlano in maniera enfatica ma nelle loro scelte politiche non lo hanno assolutamente ascoltato e hanno fatto sempre tutto il contrario del suo insegnamento – penso soprattutto alle parole di papa Francesco per la pace, per i migranti, per un’economia che uccide; e al di là dei cliché gli si vogliono applicare, papa degli ultimi, papa riformista, papa ecologista, e chi più ne ha più ne metta, per noi egli è stato anzitutto il testimone della risurrezione del Signore. È stato il pastore, il pastore primo della Chiesa, al quale il Signore ha affidato il suo gregge.

Proprio nei giorni della Pasqua, dopo la risurrezione, il Signore ha un colloquio con Simon Pietro molto struggente. Per tre volte il Risorto chiede a Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu?”. “Sì, Signore, tu lo sai che ti voglio bene?” risponde il discepolo. Per la seconda, e la terza volta, Gesù chiede: “Simone di Giovanni, mi ami tu?”. “Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene” risponde ancora Pietro. E il Signore aggiunge: “Allora, pasci le mie pecorelle”.

Solo chi ama può pascere un popolo. Solo chi ama può essere pastore. Chi non ama se ne vada, perché non ama, e dunque non può pascere, non può assumere la guida del popolo di Dio. Lo dirà con parole bellissime il grande Agostino attraverso un latino facilissimo: “Amoris officium pascere dominicum gregem”, “E’ un servizio d’amore pascere il gregge del Signore”. Mi ami? Pasci! Francesco è stato il pastore, al quale il Signore ha affidato il suo gregge. È stato colui al quale il Signore ha dato la missione di confermare i fratelli. “Quando ti sarai ravveduto conferma i tuoi fratelli”. Questo è il compito di Pietro. È stato il vescovo della Chiesa di Roma, la quale, secondo la bella espressione di Ignazio di Antiochia, “presiede nella carità a tutte le Chiese”. È la prima Chiesa, e il vescovo di Roma è il centro di unità e di comunione di tutta la Chiesa cattolica.

È stato Francesco, secondo una felice espressione antica, il “servus servorum Dei”, “Il servo dei servi di Dio”. Sì, servo, perché il suo, quello del papa, chiunque egli sia, è un servizio, è un ministero, un servizio petrino, ed è il servizio dell’unità. Un grande valore l’unità: pur nelle differenze, pur nel pluralismo dei modi di vivere la fede, l’unità è un valore prezioso. L’unità della fede, l’unità della morale. E quello di Pietro è appunto un servizio di unità: “Chi vuole essere grande tra voi si faccia vostro servo”. “Servus servorum Dei”, “servo dei servi di Dio”. Nel suo libro autobiografico, pubblicato proprio qualche settimana fa, dal titolo “Spera”, papa Francesco conclude: “La Chiesa andrà avanti nella sua storia, io sono soltanto un passo”. Solo “un passo” in questa storia millenaria! Perché la Chiesa viene da lontano, e andrà ancora lontano, nonostante i peccati, le connivenze, i tradimenti del Vangelo. La Chiesa andrà avanti, l’accompagna questa promessa consolante del Signore Gesù: “Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. La Chiesa dunque va avanti, tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio. È un’altra espressione del grande San Bernardo: “La Chiesa cammina tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”. E chi in questi 2000 anni – e ne sono stati tanti quelli che volevano toglierla di mezzo, cancellarla dalla storia, come una realtà ormai superata, vecchia, piena di peccati e di compromessi – è rimasto più volte deluso perché c’è la promessa del Signore. “Sono solo un passo”. La storia andrà avanti, la Chiesa andrà avanti. “Io sono solo un passo” dice Francesco.

 

Il “passo” da raccogliere di Francesco quale sua eredità

E quale “passo” raccogliamo, cari amici, dalla sua ricca, ricchissima eredità? Lasciamo agli storici della Chiesa il giudizio su questo Papato, su questo Pontificato! Lo lasciamo ai competenti, alla storia! Noi, molto brevemente, vogliamo soltanto cogliere i tratti del suo servizio petrino esercitato per dodici anni. E vorrei partire da questa domanda: che cosa il Signore ha voluto dirci? Che cosa il Signore ha voluto dire alla sua Chiesa e al mondo attraverso il servizio di papa Francesco? Quale parola, quale messaggio, quale luce il Signore ha voluto dare in questi dodici anni al suo popolo, alla Chiesa, mediante quest’uomo che ha avuto il terribile incarico di essere il pastore universale?

 

Un Pontefice sui passi del Concilio

In primo luogo, senz’altro il Concilio Vaticano II, il più grande evento di questo secolo, e ne avrà ancora da dire: papa Francesco si è posto sulla linea di questo evento vissuto negli anni 1962/65 che ha segnato una tappa irreversibile, perché non si torna indietro in questa ispirazione dello Spirito che ha voluto rinnovare la Chiesa nella sua natura intima, nelle sue funzioni, nelle sue espressioni. Quel Concilio aperto da un grande profeta e pastore quale è stato papa Giovanni XIII, continuato da un papa non meno importante che fu Paolo VI, un pò dimenticato ma che va riscoperto fortemente. Il Concilio: papa Francesco è sulla linea del Concilio! Pur non avendovi partecipato fisicamente, perché è venuto dopo, ha voluto realizzare il Concilio, soprattutto attraverso le sue quattro grandi Costituzioni: il rinnovamento della liturgia; la centralità della Parola di Dio, la Bibbia; la Chiesa come comunione; il dialogo della Chiesa con il mondo.

 

Il primato dell’evangelizzazione e della missione

E dunque il primato dell’annuncio del vangelo, dell’evangelizzazione e della missione. La sua prima enciclica è il suo programma di pontificato: Il primo documento, “Evangelii gaudium”, è l’enciclica programmatica degli anni del suo servizio, che appunto rilancia una Chiesa, come diceva lui, “in uscita”, che deve uscire dal tempio, missionaria.

Una Chiesa povera e per i poveri, sinodale, che cammina insieme. Lo diceva spesso in questi ultimi anni: “Il cammino sinodale è quello che Dio vuole dalla Chiesa per il terzo millennio”. Una Chiesa in cui tutti ci ascoltiamo, dialoghiamo l’un l’altro; in cui ci sono i diversi ministeri, quelli della gerarchia, dei fedeli laici, dei consacrati, ma tutti insieme, un unico popolo di Dio in cammino nella storia. E in particolare il suo appello a noi vescovi e preti, che ne dobbiamo conservare come una forte eredità: quante volte, talvolta anche un pò bastonandoci, ci esortava ad essere “pastori con l’odore delle pecore”, come diceva lui. Pastori che stanno “in mezzo, davanti e dietro al popolo”. Con l’odore delle pecore!

 

 

Il ricco magistero sociale di papa Francesco

E come dimenticare il suo ricco, ricchissimo magistero sociale. Sì, perché la Chiesa, piaccia o non piaccia, ha una sua “dottrina sociale”, che risale all’epoca dei Padri della Chiesa e che in epoca moderna si è arricchita di nuove intuizioni.

Per esempio, il suo magistero sulla pace: è stata la sua l’unica voce che si è alzata! Mentre tutt’intorno i Paesi correvano alle guerre, giustificavano le guerre, propendevano per la corsa al riarmo – addirittura i nostri Paesi stanno programmando di dare il 2% del PIL al riarmo -, la sua è stata l’unica voce veramente profetica: “La guerra è sempre una sconfitta!”. E denunciava in particolare il dramma dei palestinesi e dell’Ucraina. Per non parlare delle tante altre guerre dimenticate, di cui i mezzi di comunicazione occidentali non parlano più.

L’attenzione ai migranti. “Il Mediterraneo – diceva – è diventato un grande cimitero”. La sua prima uscita da Papa fu proprio a Lampedusa.

E poi la cura della casa comune con la “Laudato sì”, il dramma ambientale. E noi gli siamo particolarmente grati per questa sua sensibilità: ha dato uno scossone alla Chiesa, di cui non avvertiamo ancora tutte le conseguenze, con l’enciclica “Laudato sì” sulla cura della casa comune, di cui il prossimo 24 maggio ricorreranno i dieci anni esatti dalla pubblicazione.

E come dimenticare la sua attenzione soprattutto ai carcerati? Ci teneva ad andare nelle carceri: apprendiamo da fonti giornalistiche che attraverso il responsabile della Caritas, il vescovo ausiliare di Roma, ha dato i suoi ultimi risparmi a una cooperativa del carcere minorile di Casal del Marmo, in difficoltà con il loro pastificio.

E poi malati e i poveri in generale: è stato il profeta dei senza voce, pur andando contro a tanti guerrafondai di oggi, quelli che da Nord, Sud, Est e Ovest, corrono alle armi.

 

Il papa della misericordia. Il filo rosso che attraversa questo Pontificato

Accompagnare, discernere e integrare le fragilità”. Mi chiedo: c’è un filo rosso che attraversa questo Pontificato? Possiamo racchiudere in una sola cifra tutto il significato di questi anni di Francesco? Io credo di sì, e racchiudo tutto nella parola “Misericordia!”. Perché se c’è un cliché da applicare a papa Francesco è questo: è stato il Papa della Misericordia, tanto da dedicargli il Giubileo speciale straordinario nel 2015, quando parlava della Chiesa “ospedale da campo”, quando diceva che “la Chiesa non è una dogana”, quando chiedeva a noi pastori di non essere “controllori della grazia”, ma suoi “facilitatori”. Questo certo, ne siamo consapevoli, ha suscitato perplessità nella Chiesa. Perché negarlo? Dobbiamo essere onesti, sinceri! Qualche volta ha suscitato una certa confusione, un certo disorientamento, soprattutto in quelli che preferiscono una pastorale e una Chiesa più rigida e intransigente, che non dia luogo ad alcuna confusione, che sia chiara nella dottrina. Ed è una legittima attesa, senz’altro. Ma egli ha detto che “la Chiesa deve accogliere tutti”. Come dimenticare quel forte appello gridato in lingua spagnola a Lisbona due anni fa: “Todos, todos, todos” esortò centinaia di migliaia di giovani accorsi nella capitale portoghese per la loro Giornata mondiale! La Chiesa deve accogliere tutti, certo, ma nello stesso tempo deve proporre e insegnare la misura alta del Vangelo. Eppure – cari amici e cari amici, presbiteri, fedeli e laici tutti – è questa la sfida! Come fa una Chiesa a mettere insieme i due poli, non contrapposti ma certamente tra loro non omogenei: essere inclusiva e accogliere tutti, ma nello stesso tempo non rinunciare alla sua dottrina, alla sua morale, a proporre la misura alta del vangelo? Penso a quel documento che racchiude tutto quello che sto dicendo, l’Amoris laetitia, per le persone che vivono una certa fragilità, soprattutto nelle relazioni di coppie. C’è un capitolo di quella Esortazione apostolica post-sinodale sull’amore nella famiglia intitolato con i tre verbi che rimangono come il suo testamento: “Accompagnare, discernere e integrare le fragilità”. Una morale molto simile a quella del nostro Sant’Alfonso. Lo ha messo in evidenza la brava professoressa Mena Sacco, che recentemente ha scritto un libro raffrontando proprio la morale alfonsiana con quella di papa Francesco. Non è facile, questo Papa non ha voluto dare ricette e soluzioni, ha avviato, come diceva lui spesso, “processi”, ha aperto delle porte. Occorrerà certo non tornare indietro, forse nemmeno chiuderle, però certamente un chiarimento, per evitare che soprattutto i poveri parroci, quelli che stanno in trincea e devono tradurre per i loro fedeli ogni giorno il magistero del papa e dei vescovi, non stiano in difficoltà. Che si aprano a questa prospettiva, “avviare processi”, ma nello stesso tempo con chiarezza e senza confusione. È stato nello stesso tempo, insomma, pastore e profeta. E non è facile esserlo! Il pastore, l’uomo di governo, può essere nello stesso tempo anche profeta? Noi crediamo sia possibile, perché istituzione e carisma vanno sempre insieme, ma non è facile! Se mi è lecito usare un linguaggio laico, ma proprio tra molte virgolette, possiamo dire: è possibile essere nello stesso tempo di governo e di opposizione? Si può essere nello stesso tempo pastore e profeta? La sfida rimane, ed è difficile, ma niente è impossibile a Dio! Che i processi da lui avviati, che le porte da lui aperte in questo tempo di transizione come il nostro, possano trovare spazio attraverso uno stile sinodale e un cammino franco nella Chiesa.

 

Il Papa che il Signore ha scelto per noi

Ti preghiamo, Signore, per il nostro papa Francesco, “il Papa che tu hai scelto per noi!”. Mi ha sempre meravigliato, e fatto riflettere, questa frase della Chiesa: l’abbiamo pronunciata la scorsa settimana al termine dell’azione liturgica del Venerdì Santo, nella preghiera universale, tra le dieci lunghe intenzioni che la Chiesa mette sulle nostre labbra dopo aver ascoltato il racconto della Passione del Signore. Alla terza, così ci siamo rivolti a Dio: “Ti preghiamo, Signore, per il nostro papa Francesco, il Papa che tu hai scelto per noi”. Tu hai scelto per noi: non facciamo le differenze né tra i papi né tra uomini di Chiesa. Lasciamo al gossip e ai rotocalchi tutto questo lavoro: è loro mestiere e che lo facciano bene! Noi non possiamo permetterci il lusso di fare differenza tra papa e papa, vescovo e vescovo, diocesi e diocesi, prete e prete. Il pontefice, chiunque egli sia e comunque si chiami, è “il Papa che Lui ha scelto per noi”. E ti preghiamo, Signore, per lui che tu hai scelto per noi. Preghiamo allora in questa Messa per questo nostro povero fratello Pietro, servo dei servi di Dio, che forse più di ogni altro nella Chiesa ha bisogno della carità della nostra preghiera.

 

+ Antonio Di Donna

Cattedrale di Acerra, 24 maggio 2025

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Messaggio del 22 Aprile 2025

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Messaggio del 21 aprile

O Dio, che dai la giusta ricompensa agli operai del Vangelo, accogli nel tuo regno il tuo servo, il papa Francesco, che hai costituito successore di Pietro e pastore della tua Chiesa, e donagli la gioia di contemplare in eterno i misteri della grazia e della misericordia che sulla terra ha fedelmente dispensato al tuo popolo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.