Omelia Messa crismale

Ieri mattina nella Cattedrale di Acerra, il vescovo Antonio ha presieduto la Messa Crismale durante la quale i preti della nostra diocesi di Acerra hanno rinnovato le promesse sacerdotali.
Nella Celebrazione sono stati benedetti gli Oli santi: Olio dei Catecumeni, Olio degli Infermi e il Sacro Crisma: accompagneranno la celebrazione dei sacramenti nelle comunità per l’intero anno.

Pubblichiamo l’omelia integrale di monsignor Di Donna.

Sono poche le occasioni in cui siamo riuniti per la celebrazione dell’eucaristia tutti insieme: il vescovo, tutti i sacerdoti della diocesi, insieme con diaconi, i consacrati e le consacrate, i seminaristi, e una rappresentanza dei fedeli laici e laiche.

Questa celebrazione, anche fisicamente, esprime l’unità, l’unità della Chiesa di Dio che è in Acerra: al di là delle diversità di carismi e di ministeri, siamo tutti insieme, popolo di Dio.

Come dice lo scrittore Cipriano del III secolo: «Plebs adunata de unitate patris et filii et Spiritus Sancti; la comunità radunata nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».

Viene prima l’unità, la pari dignità di tutti i membri del popolo di Dio, e poi viene la diversità. C’è un sacerdozio comune fondato sul Battesimo, che tutti ci accomuna e ci rende assemblea santa, stirpe sacerdotale, popolo di Dio.

Come non sottolineare, quest’anno, l’anno del Giubileo, il brano del Vangelo secondo Luca, che è stato appena proclamato dal diacono, in cui Gesù assume come programma di vita il testo del profeta Isaia: «Lo Spirito del Signore è su di me, mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri e a proclamare l’anno di grazia del Signore».

Questo è il suo programma, il programma della sua vita. Si può dire che tutta l’esistenza di Gesù è un tempo di grazia, un anno di grazia, quasi un giubileo continuo.

Ed è anche, cari amici e amiche, questo il programma della sua Chiesa, e della nostra Chiesa: portare «la buona notizia ai poveri, fasciare i cuori spezzati, proclamare la liberazione ai prigionieri, il recupero della vista ai ciechi, lasciare liberi gli oppressi».

È interessante notare come il brano del Vangelo presenta tre varianti rispetto al testo di Isaia. L’evangelista Luca omette o aggiunge qualcosa. Tra queste tre varianti, la più interessante è che il Vangelo di Luca omette, non riporta, salta un’espressione di Isaia. L’espressione di Isaia che Luca non riporta è questa: “Il giorno di vendetta per il nostro Dio”. Questa espressione nel Vangelo non c’è! C’è l’anno di grazia, ma non il giorno di vendetta!

Quale salutare rimprovero per noi, tentati spesso di essere, come dice Papa Francesco, i controllori della grazia più che i suoi facilitatori! Ma è soltanto una nota, piccola nota!

Cari fratelli, presbiteri, religiosi, laici e laiche, come non vedere in quell’elenco di azioni di Isaia e del Vangelo di Luca – “portare il lieto annuncio ai poveri”, “la liberazione degli schiavi” … – il servizio della nostra Chiesa nei suoi vari ministeri, il servizio di voi soprattutto carissimi presbiteri, diaconi; voi, catechisti e catechiste; voi insegnanti di religione; voi ministri degli infermi, degli ammalati; voi Caritas, parrocchiali e diocesana, operatori di misericordia; voi che lavorate con i fratelli vittime delle dipendenze, i carcerati, gli ammalati. E’ l’opera di Gesù che continua. E’ quasi un Giubileo permanente anche nella nostra Chiesa di Acerra.

Due anni fa, in occasione dei dieci anni di servizio episcopale in mezzo a voi, mi avete donato questa casula che indosso, insieme alla mitria. E’ disegnata da tante api! Questa decorazione ha un valore simbolico, si ispira probabilmente a Sant’Apollinare, a Ravenna: il vescovo è l’ape regina che, procedendo in mezzo all’assemblea liturgica, come abbiamo fatto pochi minuti fa, porta con sé all’altare le api, il popolo di Dio.

Secondo gli antichi Padri, la comunità formata dalle api, da questi piccoli e operosi insetti, è modello della comunione fra i credenti, e della concordia della pace fra i cittadini. Da notare che anche a noi, qui nella città di Acerra, per chi viene da Napoli alle porte di Napoli, all’ingresso della città c’è un cartello che indica Acerra, e poi sotto c’è scritto: “Acerra, città delle api e delle donne”.

Lasciamo stare le donne. Ma “Città delle api, Acerra”. Mi sono chiesto molto volte: Perché? Come mai? Suppongo per il fatto che le api sono sentinelle dell’aria pulita. E dire questo per la città dell’inceneritore significa dire molto.

Ma torniamo all’immagine delle api. E prendo spunto per questa riflessione da una meditazione che un grande pastore – monsignor Sigismondi, attualmente vescovo di Orvieto Todi ma che ha una lunga esperienza in fatto di formazione del presbiterio – in una relazione tenuta alla diocesi, al presbiterio di Verona, “Come essere preti in questo tempo complesso”, usa un’immagine, prende spunto dal mondo della natura, parla di tre insetti: cicale, formiche, api. E dice così monsignor Sigismondi: “L’operato di un presbitero può assomigliare a quello delle cicale. Le cicale, con il loro caratteristico verso stridente, cantano, stridono, tentano di vincere così il loro carattere, che è un carattere asociale. Solo loro separate, ma cantano, cantano. Finito il ciclo, che abbraccia in genere la stagione estiva, le cicale muoiono e non resta traccia della loro esistenza. Qualcosa di simile può accadere, può accadere a quei presbiteri che, privi di vita fraterna, si limitano a frinire e basta. Un ministero tutto sommato narcisista. Ciò che lo muove è la continua ricerca di approvazione. Fa anche cose belle, questo presbitero, molto belle, ma esse diventano come diamanti per la sua corona di gloria. Ha bisogno di specchiarsi in Facebook e Instagram, è preoccupato del proprio profilo e dei like che raccoglie”.

“Il servizio pastorale di un prete può essere anche paragonato – dice monsignor Sigismondi – a quello di una formica, indubbiamente laboriosa, che trasporta con zelo quello che trova, e lo immagazzina nella colonia in cui vive il formicaio. Qualcosa di simile avviene a quei presbiteri il cui ministero è iper attivista, quando si disperde in mille iniziative per sentirsi vivo, si strema in mille incombenze e non riesce a condividerle con gli altri preti e con i laici. Presbiteri che, poveri di vita interiore, si spendono, si consumano, ma non si consegnano, cioè non riescono a donarsi con cuore libero e ardente”.

“Quando il ministero è così, come le cicale e le formiche, lo Spirito non scende su di noi” continua monsignor Sigismondi.

Mi sembra anche che lo spirito non scenda su di noi quando il nostro ministero è “depresso”. Lo definirei così: “Depresso”. E cioè quando tira a campare, quando si lascia guidare dal “si è sempre fatto così”. Quando uno vive il proprio ministero da solo, non si vede mai agli incontri, quando si trascina stanco e demotivato a gestire l’ordinario.

“E finalmente, finalmente abbiamo le api” conclude monsignor Sigismondi. “Il ministero di un prete può essere paragonato al lavoro di squadra che regola le colonie delle api. Cantate anche, come faremo dopodomani notte dall’exultet, dal preconscio pasquale. Il sistema organizzativo di un alveare disciplina le relazioni. Le relazioni tra l’ape regina, le api operaie e i fuchi, creando un meccanismo sinodale, con compiti ben definiti: la costruzione dell’alveare, l’accudimento delle larve, il trasporto del polline e del nettare. Le api, attirate dalla fragranza dei profumi, non sciupano la bellezza dei fiori, su cui si posano con molta delicatezza, e da cui suggono il polline e il nettare, che in parte trasferiscono negli altri fiori, fecondandoli, e in parte trasportano con assidua premura all’interno del favo.

La vita di un presbitero ha molto da imparare dalla industriosa collegialità delle api, allergiche allo scisma ma abili nello sciamare, infaticabili nel suggere le sostanze prelevate dai fiori, favorendo il processo di impollinazione e producendo miele”.

Ecco! Lo spirito scende su di noi quando il nostro ministero è umile e duttile, si lascia educare il cuore, riserva spazio a sé e agli altri, è capace di ascolto e di preghiera, assume il ritmo dei preti vicini, coltiva un senso profondo di fraternità, si lascia animare dalla carità verso i piccoli e i poveri.

Oggi, cari fratelli e sorelle, voi tutti, voglio lodare la grande maggioranza silenziosa che è qui presente, quella che non dà troppi grattacapi al vescovo, ma che lavora umilmente, che ha il senso della Chiesa, che è presente con naturalezza agli incontri comuni, che è positiva e costruttiva, che propone l’immagine di un presbitero solare, che trasmette fiducia e speranza.

Cari consacrati e cari fedeli laici e laiche, ringraziate con me il Signore oggi, che la maggioranza dei nostri fratelli presbiteri sono uomini spirituali, certo ciascuno col suo volto, col suo carattere, ma tutti insieme immagini viventi della vita spirituale.

Ringraziate con me il Signore per loro. Dite grazie ai vostri preti: oggi è il loro compleanno, sono nati oggi.

Tra poco essi rinnoveranno gli impegni assunti nel giorno della loro ordinazione.

Grazie fratelli sacerdoti, per la vostra testimonianza. Grazie per il vostro servizio. Grazie per il tanto bene nascosto che fate. Grazie per il perdono che regalate in nome di Dio. Grazie per il vostro ministero che spesso si svolge fra tante fatiche, incomprensioni, talvolta anche da parte del vescovo, e pochi riconoscimenti.

Un grazie lo rivolgiamo quest’anno al Signore, in particolare per il nostro caro don Ignazio (Guida, ndr), che festeggia i cinquant’anni di ordinazione sacerdotale; e don Michele (Grosso, ndr), che ne compie quaranta.

Siamo grati al Signore, anche perché in mezzo a noi ci sono don Sergio (Cristo, ndr) e don Biruk (Demissie, ndr). Voglio ricordare loro che questa è sempre la loro casa.

Mentre ricordiamo i cari don Oreste (Santoro, ndr) e don Ciccio (monsignor Francesco Perrotta, ndr) che sono venuti a mancare quest’anno, e gli altri confratelli defunti.

Un saluto lo rivolgo a monsignor Rinaldi (il vescovo emerito Giovanni, ndr), assente perché ammalato, e che ci ha fatto pervenire in dono un suo testo su Paolino di Nola, che vi sarà consegnato a pranzo.

Ringrazio, dal momento che siamo nei ringraziamenti, anche la città di Cervino, qui rappresentata dal Sindaco (Giuseppe Vinciguerra, ndr) e dall’azienda che ha offerto il vino, l’olio per gli oli santi.

L’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e l’olio che poi farà parte del crisma, vengono quest’anno da Cervino, che ha un’eccellenza proprio la produzione dell’olio. E questo olio farà il giro di tutte le parrocchie della diocesi. Grazie caro sindaco di questo dono per tutta la diocesi.

Permettetemi in conclusione, cari fratelli presbiteri, di assegnarvi, mi permetto, tre compiti, tre compiti per casa, tre adempimenti, come segno di rinnovamento pasquale.

Per favore, fate visita o almeno telefonate spesso, a un confratello malato anziano per donargli gratuitamente un’ora del vostro tempo. Purtroppo ne sono rimasti solo due: il caro don Salvatore, e il caro don Gregorio. Questo è il primo compito che vi assegno. E di pregare per gli altri confratelli che hanno qualche infermità. Un ricordo speciale per il nostro don Carletto che concelebra stamattina con noi e che dovrà subire un intervento delicato il prossimo mese. Preghiamo il Signore che ce lo conservi sempre per lungo tempo.

Vi chiedo inoltre di dedicare una mezza giornata al ministero della confessione, all’ascolto della gente: lasciate tutto, ascoltate la gente, sia nella confessione sia in colloqui personali.

Infine, ultimo compito, questo, più a lungo termine, che vi chiedo in questo giorno santo: quello di far visita alle famiglie della vostra parrocchia. Entrate nelle case, dialogate con quelli che stanno in quella casa, pregate brevemente insieme con loro. La visita alle famiglie è la forma più ordinaria, io credo, per una parrocchia che voglia essere missionaria, una Chiesa in uscita. Quale missionarietà più concreta e ordinaria di questa? Quella di bussare alle case della vostra gente, entrarci, dialogare e pregare insieme con loro?

Ancora grazie, fratelli preti, per la vostra testimonianza.

Antonio Di Donna
Vescovo di Acerra