L’omelia del vescovo ai Primi Vespri del 31 dicembre – Te Deum

L’anno che si conclude, e quello che si annuncia all’orizzonte, sono posti entrambi sotto lo sguardo benedicente della Santissima Madre di Dio. Stiamo celebrando i Primi Vespri di questa solennità mariana: Maria, Madre di Dio. La più importante festa di Maria: siamo a otto giorni dal Natale del Signore e l’attenzione si sposta dal Bambino alla Donna, che è sua Madre.

Nei Vangeli dell’infanzia di questi giorni ricorre spesso l’espressione: «Il Bambino e sua Madre». Quella donna, la quale nel suo sì ha reso possibile il grande dono della Redenzione. Come dice san Francesco di Assisi: «Maria ha reso nostro fratello il Signore della Gloria».

L’antifona del primo salmo dei tre che abbiamo recitato e cantato è antichissima: «O meraviglioso scambio», in latino: «O admirabile commercium».

E il terzo prefazio del Natale riprende questa antifona, lo scambio che è avvenuto tra Dio e noi: «In Lui (in questo Bambino che è nato) oggi risplende in piena luce il misterioso scambio che ci ha redenti. La nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne, e noi condividiamo la tua vita immortale».

E poi la lettura breve che abbiamo ascoltato, tratta dalla Lettera di Paolo ai Galati: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da Donna». L’unico riferimento a Maria nelle lettere di Paolo, senza nemmeno dire il suo nome: poche parole per un grande Mistero!

E ancora: «Tu, o Cristo, nascesti dalla Vergine Madre, per la salvezza del mondo», canteremo nel tradizionale Inno «Te Deum», che tra poco eleveremo: «Tu che dovevi liberare l’uomo, non hai disprezzato l’utero della Vergine».

Tutto, questa sera, ci invita a volgere lo sguardo verso Colei che ha accolto nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio, e per questo viene riconosciuta e onorata come vera Madre di Dio. I nostri fratelli di Oriente usano il greco «Theotókos», per indicare «Colei che ha partorito Dio».

Fin dall’antichità, Maria viene onorata con questo titolo, il più importante, la verità più grande su di Lei: perché è Madre di Dio, allora è stata concepita Immacolata; perché è Madre di Dio, allora è stata Assunta in Cielo in anima e corpo. La sua maternità divina, l’essere Madre del Dio fatto Uomo sta alla base della sua venerazione.

 

E questa sera vogliamo porre sotto lo sguardo della Madre di Dio anche il nostro ringraziamento al Signore per il grande dono del tempo che ci concede, perché il tempo è una opportunità preziosa per compiere il bene. Ma dobbiamo anche unire la richiesta di perdono per non avere sempre impiegato bene e avere sciupato il tempo che ci viene dato.

 

Siamo a poche ore dall’anno nuovo, e la frase più ricorrente in queste ore e in questi giorni – lo hanno ripetuto in tutti i modi e tutte le salse – è che «l’anno che si sta per concludere è da dimenticare, se non addirittura da buttare: “Annus horribilis”». Il quotidiano “Il Mattino” di oggi titolava grande in prima pagina: «2020: Vattene!». Siamo tutti pronti a voltare pagina, per lasciarci alle spalle un passato da dimenticare e la speranza che il nuovo anno sia certamente migliore, perché i dice: «Peggio di così non può venire».

 

Effettivamente, il virus ha assestato un duro colpo, per i tanti morti e per quelli che sono stati colpiti dall’epidemia; un duro colpo al delirio di onnipotenza dell’uomo contemporaneo. Il virus ha creato quasi un trauma planetario: abbiamo dovuto fare i conti con la nostra fragilità e il nostro limite. Piangiamo la morte di persone care, soprattutto di anziani che non hanno potuto avere nemmeno il conforto della presenza di un familiare. Ma c’è stato anche il senso di impotenza di medici e infermieri; c’è stato lo smarrimento delle Istituzioni; i dubbi, forse anche le crisi, di fede; c’è stata la riduzione o la perdita del lavoro; c’è stata la limitazione delle relazioni umane, sociali; e anche noi Chiesa abbiamo vissuto le limitazioni nelle celebrazioni.

 

Ma non dimentichiamo, di quest’anno, anche i morti di cancro, tumore, quelli che piangiamo ogni anno, non solo nel 2020, in particolare i morti per cancro bambini, ragazzi e giovani.

 

E soprattutto, non archiviamo tanto in fretta questo 2020, lasciandoci cullare dall’illusione che d’ora in poi andrà tutto bene. Ricordiamolo amici: proprio in queste ore, un anno fa, facevamo festa al 2020 che doveva entrare, e non potevamo neanche lontanamente immaginare che cosa ci avrebbe riservato. Piaccia o non piaccia anche il 2020 è un anno della nostra vita, cacciarlo, rimuoverlo non serve a niente. Pur nel dolore, anche il 2020 ci ha insegnato tante cose, ammesso che ne abbiamo imparato la lezione.

Soprattutto abbiamo imparato la lezione che ci viene da un libro della Bibbia – uno dei più piccoli, dell’Antico Testamento, che sto sempre più riscoprendo – il Qoelet: «Vanità delle vanità, tutto è vanità; c’è un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per demolire e un tempo per costruire; un tempo per piangere e un tempo per ridere; un tempo per fare lutto, e un tempo per danzare; un tempo per abbracciarsi e un tempo per astenersi dagli abbracci». Attualissimo!

 

Non si può dimenticare che proprio in tempo di pandemia sono fioriti tanti gesti di fede e di carità; tanti comportamenti nobile e generosi, tante scelte talvolta eroiche in uno spirito di servizio, che solo per ragioni di tempo non elenco.

Il 2020 non è solo l’anno dell’epidemia: come no ricordare, come farà tra poco il parroco don Ciro, i bambini che sono nati, le coppie che, nonostante la pandemia si sono sposate; i giovani che hanno superato la maturità o che hanno concluso il loro cammino di studi; i ragazzi che sono stati ammessi alla Mensa del Signore o alla Cresima. C’è anche questo, e altro, in questo 2020, nonostante tutto!

 

Certo, non sappiamo cosa ci riserva il futuro, ed è questa nostra incapacità di dominare il tempo – noi vorremmo, ma non possiamo farlo – a gettarci nello sconforto, nell’ansia e nella paura. Non possiamo negare che l’orizzonte è ancora oscurato dall’incertezza del domani, che il ritmo spensierato di queste ore cerca invano di scongiurare.

Vi confesso, cari amici, che sono preoccupato soprattutto di una cosa: niente abbracci, nemmeno una stretta di mano, ci purifichiamo subito le mani; stiamo attenti, manteniamo la distanza dagli altri. Va bene, è giusto che lo facciamo. Ma io ho un timore: che il virus ci induca a vedere gli altri come un pericolo, un nemico da cui dobbiamo difenderci. Ed è lecito domandarsi se, finita questa pandemia, un fondo di diffidenza verso gli altri, sconosciuti, non ci rimanga addosso! Spero che sia solo un timore infondato, perché i gesti, la vicinanza fisica, gli abbracci, i baci, sono una lingua, il linguaggio del corpo, una lingua universale, che noi soprattutto al Sud parliamo bene. Dio non voglia che finita l’epidemia ci ritroveremo cambiati, senza più questo linguaggio del corpo, senza più i gesti, gli abbracci e i baci: sarebbe un grave impoverimento della nostra umanità

 

E allora l’augurio, certo della fine dell’epidemia, della ripresa dell’economia e del lavoro, ma mi permetto di augurare una piccola cosa a me e a voi, per l’anno che sta per iniziare: di poter ritrovare la semplice gioia di un grande abbraccio, e perfino solo una stretta di mano. Auguro a me e a voi per l’anno che viene questa piccola cosa: un grande abbraccio e una forte stretta di mano.

Da credenti, sappiamo che qualunque cosa accada, nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù, neanche un virus, neanche la nostra fragilità, neanche il nostro peccato: «In Te Signore ho sperato, che io non sia confuso in eterno», recita l’ultima espressione del «Te Deum».

E’ l’ora dei bilanci, ma è anche l’ora di ravvivare la nostra fiducia nella Provvidenza, una parola che dobbiamo rispolverare: un Padre provvidente che «nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo» come non potrà avere cura di noi? Lui, che «conosce e conta perfino i capelli del nostro capo»?

 

Rivolgiamo alla Madre di Dio fatto Uomo, la più antica preghiera – «sub tuum presidium, sotto la tua protezione» –  rivolta a Lei dalle primissime generazioni cristiane, e in cui appare il titolo «Santa Dei Genitrix, Santa Madre di Dio». Impariamola a memoria, recitiamola ogni giorno: «Sotto la tua protezione noi cerchiamo rifugio santa Madre di Dio; non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo o Vergine gloriosa e benedetta. Amen».