«Nei vostri volti vedo la bellezza della Chiesa di Acerra, con la vita intensa delle sue comunità parrocchiali, che si esprime nei suoi diversi ministeri. E’ questa la Chiesa dentro la quale stasera celebriamo il mistero di Gesù Cristo Crocifisso e Risorto». Il canto di introduzione «dice bene il senso di questa celebrazione di inizio anno pastorale», afferma il vescovo Antonio Di Donna prima di pronunciare le parole della Colletta della Messa per la Chiesa locale: «O Padre, che nelle singole Chiese, pellegrine sulla terra, manifesti la tua Chiesa, una santa cattolica e apostolica, concedi a questa tua famiglia, raccolta intorno al suo pastore, di crescere mediante il Vangelo e l’Eucaristia nella comunione del tuo Spirito, per divenire immagine autentica dell’assemblea universale del tuo popolo e strumento della presenza del Cristo nel mondo». L’assillo quotidiano. La sera di domenica 23 settembre, tutti i sacerdoti concelebrano con monsignor Di Donna in Cattedrale, nelle altre parrocchie della diocesi di Acerra la Messa non si celebra. E’ l’inizio ufficiale dell’anno pastorale e centinaia di fedeli gremiscono la Chiesa. In questo tempo in cui la «macchina organizzativa» delle attività parrocchiali «si mette in moto», durante l’omelia il presule chiarisce che «al centro del nostro cammino non c’è l’organizzazione», perché «la Chiesa non è una ditta da organizzare, ma la si genera nella fede». Di Donna prende spunto dal Vangelo di Marco della XXV domenica del tempo ordinario per ripetere quello che deve diventare l’«assillo quotidiano» delle comunità parrocchiali, e cioè l’«annuncio di Gesù Cristo Crocifisso e Risorto», che è «il cuore nostra fede», intorno al quale devono ruotare tutti i nostri sforzi, comunque li si voglia chiamare, ed «educare alla fede» con «veri cammini», soprattutto «ragazzi e giovani». Altrimenti, avverte il vescovo di Acerra, è forte il rischio che tutte le nostre “strategie” si trasformino in puro «intrattenimento» e la Chiesa diventi una «società di servizi sociali» dentro la quale prevale l’«organizzazione tecnica degli eventi», una «macchina che gira su se stessa», e tutta la «fatica» risulta «inutile e sterile» perché «annunciamo noi stessi e la nostra organizzazione». Perché, è il monito del presule, «senza l’annuncio di Gesù Cristo Crocifisso e Risorto, tutto si sbriciola». “A vicenda”. Monsignor Di Donna continua a commentare il Vangelo di Marco della domenica, «spietato» nel raccontarci che «i discepoli non comprendevano», e proprio il fatto che l’evangelista non nasconda l’imbarazzo dei discepoli sorpresi da Gesù a decidere chi debba essere il primo tra loro mentre Lui parla della sua Croce e Risurrezione, per il vescovo è un’ulteriore «prova» certa che «il Vangelo è vero». Ma se «le colonne, i primi testimoni» non capivano, ancor più forte è per noi oggi il rischio di continuare ad «educare ad essere i primi». Certo, continua Di Donna, «non è sbagliata l’autostima», ma senza dimenticare che «Gesù ha voluto la Chiesa come una comunità di servizio, “gli uni gli altri, a vicenda”». Questo deve essere «lo stile della nostra Chiesa», al contrario dello «spirito di contesa, delle divisioni, di guerre e di disordine ad ogni livello», di cui parla l’apostolo Giacomo nella seconda lettura, e alle quali come antidoto il vescovo Antonio Di Donna pone le parole della quinta preghiera eucaristica accuratamente scelta dentro la Messa per la Chiesa locale – «Ti preghiamo o Padre, fa che la Chiesa di Acerra si rinnovi nella luce del Vangelo. Rafforza il vincolo di unità tra i laici e i presbiteri, fra i presbiteri e il nostro vescovo Antonio, fra i vescovi e il nostro papa Francesco» – e richiama «l’unità, la comunione articolata a vari livelli». A misura di bambino. Il Vangelo racconta che dopo aver raccomandato ai discepoli di farsi «ultimi», Gesù prende «un bambino e lo mette in mezzo» indicandolo «come misura del regno di Dio». Non si tratta di tornare ad un «infantilismo» fin troppo diffuso ai nostri giorni ma di una «prospettiva» di vita, chiarisce monsignor Di Donna. Il vescovo sogna una «Chiesa di Acerra a misura di bambino», non perché essi siano «innocenti», ma perché «il bambino, debole e bisognoso di tutto, si affida completamente a mamma e papà, si fida delle loro braccia». Ed è questo «abbandono fiducioso – racchiuso in maniera mirabile nel salmo 130: “Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia. Speri Israele nel Signore, ora e sempre”» – che il presule chiede alla sua comunità diocesana perché diventi sempre più «una Chiesa accogliente», con «meno organizzazione e burocrazia» e «più relazioni umane», una «Chiesa del sorriso» e non dei «musi duri», magari «povera di beni» ma «ricca di relazioni», fatta di «preti con il cuore di pastori», capaci di «sporcarci le mani con i problemi della gente», come il beato don Pino Puglisi, il quale «più che parlare» loro, sapeva «stare con i giovani», perché «la via dell’incontro è la via della Chiesa», chiamata a farsi «luogo dell’incontro» che «genera buoni cristiani e onesti cittadini». Tutti insieme. Nel consegnare le «indicazioni operative» per l’anno pastorale – che «non sono un capriccio del vescovo» ma frutto di un «discernimento» sulla base del magistero prima della Chiesa universale e poi italiana, per offrire alla parrocchia, «ultimo anello» della catena che affronta la «fatica» maggiore ma gode anche del «fascino» concreto della sfida dell’evangelizzazione, linee lungo le quali «lavorare per l’annuncio» oggi – monsignor Di Donna loda i parroci per «la fatica del giorno» che affrontano quotidianamente, invitandoli con Paolo VI a praticare il «ministero della sintesi» piuttosto che «la sintesi dei ministeri», ma cita anche i «religiosi» e i tanti «laici» presenti, «umili lavoratori nella vigna del Signore» (monsignor Di Donna consegna simbolicamente le indicazioni a quattro donne che ricevono nella Messa il mandato di operatore pastorale dopo aver concluso il percorso di studi presso la Scuola diocesana), esortandoli a «non guardare i risultati» ma a «seminare bene attraverso buone relazioni», per creare terreno favorevole all’annuncio. Perché «tutti insieme siamo responsabili del Vangelo» e dobbiamo «portare i pesi gli uni degli altri», coinvolgendosi e senza limitarsi allo «stretto necessario». La disciplina. Delle indicazioni il vescovo sottolinea l’«applicazione delle norme» e il «dovere della comunione con la diocesi», e dunque la fedeltà alla «disciplina ecclesiale» con «la partecipazione ai pochi impegni diocesani», perché «la diocesi viene prima della parrocchia», che dipende dalla prima, e perché non esistono nella Chiesa «navigatori solitari», tanto meno si opera con il «fai da te», bensì «nella Chiesa siamo tutti mandati», a partire dal vescovo che deve essere amato in quanto «successore degli apostoli». E prima di invocare la benedizione della Madonna sul nuovo anno pastorale, monsignor Di Donna raccomanda l’«adesione alle regole e alle norme per la celebrazione dei sacramenti» perché «stiamo tornando indietro» nell’addobbo floreale dei matrimoni. E dunque il monito: «Noi non dobbiamo soddisfare i desideri della gente ma gli interessi del Signore».