L’omelia del vescovo Antonio

Il Natale del Signore

L’omelia del vescovo Antonio

Cattedrale di Acerra 25 dicembre 2023

La Parola di Dio è molto ricca e varia, e dà l’annuncio del Natale di Gesù in diversi modi.

Il primo lo abbiamo ascoltato questa notte, quando è stato proclamato il Vangelo secondo Luca, è il racconto della nascita di questo bambino: «Vi annuncio una grande gioia. Oggi è nato per voi il Salvatore che è Cristo Signore».

È una pagina narrativa semplice, è il racconto che ha ispirato il Presepe. Quest’anno sono infatti 800 anni dal primo, quello di san Francesco, nel 1223 a Greccio, piccolo paesino della valle reatina: lo ricordiamo con gioia!

Ma c’è un secondo modo di annunciare la grande festa di oggi, che noi chiamiamo il Natale di Gesù, il Natale del Signore, ma che l’evangelista Giovanni nel quarto Vangelo chiama incarnazione: «Il Verbo che era presso il Padre si è fatto carne».

E’ la pagina che abbiamo sentito proprio adesso proclamata dal diacono: non si parla di mangiatoia, non si parla di angeli, non si parla di pastori; non si fa il nome di Maria e nemmeno quello di Giuseppe; non si parla di Betlemme, non ci sono i Magi, non c’è Erode.

Eppure questa pagina, apparentemente così difficile, è di valore altissimo: c’è molto di più della mangiatoia del presepe. Questa pagina è la risposta a una domanda che ci dobbiamo fare: chi è veramente questo bambino che è nato, per la cui nascita «s’arruvutaie insomma o munn» dice il nostro s. Alfonso in “Quanno nascette Ninno”?

Chi è? È solo il Figlio di Maria? E’ solo il frutto della natura umana? Chi è veramente questo bambino? Quali sono le sue origini? Da dove viene? Sono queste le domande che la comunità cristiana si è fatta in un secondo momento dopo la croce e la risurrezione di Gesù di Nazaret: è andata all’indietro, a ritroso, alla sua nascita. Sì, la sua nascita.

Ma questo bambino viene da lontano: la risposta di questa stupenda pagina, che andrebbe meditata parola per parola, è in quella che tecnicamente viene chiamata l’introduzione, il prologo, l’overture del quarto Vangelo: «Questo Bambino Gesù è il Figlio eterno del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato della stessa sostanza del Padre». Una pagina che tocca il suo vertice quando esattamente a metà di essa c’è l’«Annuncio», che è il «Natale del Signore», quando l’evangelista dice: «E il Logos, il Verbo, il Figlio eterno del Padre si è fatto carne». «Sarcs», scusate il greco, significa carne, materia umana. «Il Figlio eterno del Padre ha assunto la nostra condizione umana, ha condiviso in tutto eccetto il peccato, la nostra condizione umana».

E’ nato, è stato portato in grembo per nove mesi, è stato feto, è stato embrione nel grembo di Maria. E’ nato come nasce ogni bambino concepito, certo di Spirito Santo, non per concorso del seme umano maschile, ma è uomo, veramente uomo. La fede della Chiesa si è giocata molto nei secoli, soprattutto nei primi tempi: questo bambino è vero Dio, ma è anche vero un uomo, è cresciuto, ha attraversato le fasi della crescita, gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza, della giovinezza; ha avuto fame, ha avuto sete, ha mangiato, ha bevuto, ha sofferto, ha avuto amici, ha coltivato le amicizie ed è morto sulla croce. Ed è risorto!

«E il Verbo, il Figlio eterno del Padre, si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi».

Ma c’è anche un terzo modo con cui la Scrittura, la Parola di Dio così ricca, parla del Natale di Gesù. Non solo il racconto di Luca, non solo la pagina altissima di Giovanni, ma c’è la Lettera agli ebrei.

Ne abbiamo ascoltato l’inizio nella seconda lettura: «Dio, che molte volte, in diversi modi, nei tempi antichi aveva parlato per mezzo dei profeti, in questi giorni, ultimamente, ha parlato a noi per mezzo del Figlio». Per l’Autore Gesù è il punto di arrivo, «ultimamente», di una lunga storia, un lungo dialogo tra Dio e gli uomini. Ha mandato i profeti, ha stretto diverse alleanze con gli uomini, ha edificato la storia del suo popolo in cammino. Alla fine, «quando è arrivata la pienezza dei tempi stabiliti da lui», dice Paolo, ecco l’ultima parola, quella definitiva, il punto fermo che Dio mette a questa lunga storia di alleanze: «ha parlato a noi, finalmente, per mezzo del Figlio».

Di questi tre modi di dar dele l’annuncio del Natale di Gesù, frutto di una Parola molto ricca e varia, permettetemi di cogliere per ciascuno un solo aspetto con il quale formulare a me e a voi auguri non romantici, retorici o formali della grande festa Natale del Signore.

Il racconto di Luca, che abbiamo ascoltato questa notte, abbiamo detto, ha ispirato il Presepe di san Francesco, 800 anni fa a Greccio.

C’erano solo la greppia, la mangiatoia, il Bambino. Non c’erano nemmeno Maria Giuseppe. Francesco vuole vedere con gli occhi del corpo, quali patimenti, sofferenze ha avuto questo Bambino quando è nato.

Successivamente, il Presepe ha avuto un’evoluzione: si sono aggiunte le altre statuine. Pensiamo al Presepe napoletano del Settecento, quello di San Biagio dei Librai a Napoli, e soprattutto al Presepe di s. Alfonso.

Gesù nasce in mezzo alla folla, in una vita convulsa. C’è gente che va di qua e di là, impegnata nell’esistenza ordinaria, di ogni giorno: dal fabbro al fornaio, Zibbacchiello sulla botte, Benino e tutto il resto. In mezzo ai pastori: la donna che porta le brocche, i bambini che fanno festa e fanno chiasso.

Il Presepe rappresenta in maniera stupenda questo Dio che si fa vicino agli uomini, si fa uno di noi nella vita ordinaria, quotidiana, un Dio che è uno di noi: il suo nome, il più bel nome di questo Bambino – ragazzi, ricordatelo – è «Emmanuele», che significa «Dio con noi».

Il Presepe! Noi nella cultura napoletana abbiamo un grande capolavoro di Eduardo De Filippo. Penso e spero che i ragazzi non studino solo l’inglese, le altre culture americane, non cantino soltanto Jingle Bells, White Christmas, ma conoscano la tradizione nostra, Eduardo De Filippo, il grande Eduardo che ha scritto «Natale in casa Cupiello», dove mette ripetutamente in bocca al protagonista la domanda che apre la rappresentazione: «Te piace o Presepio?». E ripetutamente il figlio risponde: «No, non me piace!»

Questa domanda seguita dalla risposta negativa del figlio la voglio rivolgere a me e a voi: «Ci piace ancora il presepe», «ci piace cioè il Natale di Gesù», «ci piace quel fatto storico che, piaccia o non piaccia, ha segnato la storia degli uomini, perché da quel Bambino nascono i valori dell’umanità, nasce la dignità di ogni persona umana?».

Guardati uomo donna, riconosci la tua dignità, «per te Dio si è fatto uomo», la tua natura umana è così grande, che Dio non ha disdegnato di prenderla su di sé, di farsi uomo, di venire in mezzo a noi (sant’Agostino, discorsi 185).

«Ci piace il presepe?». Papa Francesco, negli auguri alla Curia romana di qualche giorno fa, ha detto: «Il problema è questo. Ci siamo ormai abituati al Presepe, al Natale, alle feste cristiane, o siamo ancora innamorati?» Ci siamo semplicemente abituati a questo segno, a questa festa, o siamo ancora innamorati di Gesù? Il problema è se siamo innamorati o non siamo innamorati. Se ci abbiamo fatto il “callo”, ci abbiamo fatto l’abitudine da non sentire più le vertigini di fronte a questo grande mistero. Alfonso, in una frase di «Tu scendi dalle stelle» lo dice molto bene: «Ahi quanto questa povertà più mi innamora».

Innamorato Francesco, innamorato Alfonso. È qui la questione di fondo. Ecco perché quella di Eduardo è ben più di una domanda in un’opera teatrale. «Te piace o Presepio?» è la domanda rivolta a me, a voi, quanto mai significativa anche oggi.

Per quanto mi riguarda, poi ognuno è libero di fare le sue scelte, «a me piace il Presepe», non perché mi stanno a cuore le statuine delle persone, ma perché quelle statuine siamo tutti noi, come in fondo ogni nostra casa, ogni parrocchia è una Casa Cupiello, con le sue attese, forse ingenue ma sincere, con le sue insofferenze, con i suoi drammi, con i suoi contrasti sotterranei e palesi, ma anche con l’affetto profondo, che è la molla per andare avanti nonostante tutto.

«Mi piace il Presepe», perché se eliminassimo il Presepe, ma non il Presepe in sé stesso, bensì quello che sta dietro il Presepe, cioè l’evento unico nella storia che è la nascita del Figlio di Dio nella povertà, nell’umiltà, se cancellassimo il Presepe, sarebbero soprattutto i poveri a farne le spese.

«A me piace il Presepe», perché solo a partire dal Natale noi recuperiamo l’umanità dell’uomo. Senza il Natale del Signore saremmo più disumani e inumani, e ne abbiamo bisogno.

Da allora si è affermata la dignità di ogni uomo: ogni uomo è sacro. E’ questo Bambino che ha detto che ogni bambino è importante, che ogni donna importante, ogni uomo è importante. E’ questo bambino che ha portato i valori della dignità dell’uomo, della libertà, dell’uguaglianza, della fraternità, valori che poi sono andati come schegge impazzite in altre culture cosiddette laiche, a partire dalla Rivoluzione francese: «Liberté, egalité, fraternité».

Ma sono valori che ha portato questo Bambino, li ha inventati lui. Noi abbiamo ancora bisogno di questo. «Tu ci sei necessario bambino Betlemme, abbiamo ancora bisogno di Te. Nell’inizio del Terzo millennio abbiamo ancora bisogno di Te. Nell’epoca della Telematica, dell’Intelligenza artificiale, abbiamo ancora bisogno di Te. Tu ci sei necessario».

Dalla pagina di Giovanni – che abbiamo ascoltato nel Prologo: «Il Verbo si è fatto carne» – prendiamo le ultime parole del brano: «Dio nessuno mai l’ha visto. Gesù, il Figlio, Lui ce lo ha rivelato». Il greco è bellissimo: Gesù è la spiegazione, questo Bambino è il volto umano, il racconto, la narrazione di Dio.

«Lui solo ce lo ha rivelato». Chi pretende di fare un discorso su Dio e non passa attraverso Gesù è falso. Non ci si può rapportare a Dio, parlare a Lui, parlare di Lui, se non attraverso Gesù. Solo Gesù, altrimenti è idolatria, religiosità falsa. È una fede ancora bambina quella che non passa e non si confronta con Gesù di Nazareth.

Infine, l’ultimo tratto è quello della Lettera agli Ebrei, in cui l’Autore dice che Gesù è il punto di arrivo di una lunga storia che viene da lontano.

Chi conosce la scrittura sa che una parola chiave della scrittura è la parola «Alleanza».

La Bibbia non è altro che una storia di continue alleanze tra Dio e il suo popolo, e il punto di arrivo è Gesù: «Finalmente, dopo aver parlato per mezzo dei profeti nei tempi antichi, in diversi modi, adesso ha parlato a noi per mezzo del Figlio» dice l’Autore della Lettera agli Ebrei. Il «Figlio» è la parola ultima di questo dialogo.

Ed è proprio sulla parola «dialogo» che voglio fermarmi.

E’ una parola molto importante. Il cristianesimo è la religione del dialogo. Dialogo tra Padre, Figlio e Spirito. Dialogo tra Dio e gli uomini. Dialogo nella Chiesa, dialogo tra le religioni, dialogo tra la Chiesa e il mondo.

E applicando la parola dialogo anche alla nostra situazione di Acerra, e dei nostri territori circa il dramma ambientale, io ho sempre sostenuto che non si esce dal dramma ambientale se non c’è dialogo, intesa tra i vari soggetti in causa: le Istituzioni, soprattutto il Comune e la Regione, i Cittadini, noi tutti, e la Chiesa che fa la sua parte. Vi rimando per questo al Messaggio di Natale che è stato trasmesso attraverso il giornale diocesano La Roccia.

Nel Natale di quest’anno 2023 registriamo un fatto nuovo, positivo finalmente, l’avvio di un dialogo concreto tra tali soggetti: la Regione, la Città, i Cittadini e la Chiesa. In particolare il dialogo con la Regione e il suo Presidente, l’onorevole Vincenzo De Luca.

A partire dalla grande manifestazione contro la Quarta linea dell’Inceneritore, vissuta da tutta la cittadinanza più di 10.000 persone, il 14 ottobre scorso, ho deciso in maniera autonoma e personale di chiedere un dialogo con l’onorevole De Luca.

Sono andato da lui a fine novembre scorso e gli ho detto tutte le nostre perplessità. Gli ho detto che le motivazioni della Regione per la Quarta linea nessuno le crede, nessuno! Ho detto del dramma della nostra terra. Ho detto che Acerra ha già dato. Ho detto che bisogna individuarla come una zona satura, che non può dare di più.

Dopo che mi sono sfogato, gli ho detto tutto a nome anche della Città, non lo so se un miracolo di Gesù Bambino, ma il Presidente De Luca, interpellati l’Assessore all’ambiente altri tecnici presenti all’incontro, ha raccolto queste istanze, ha fatto un Comunicato Stampa sull’incontro tra me e lui, che viene pubblicato sul nostro giornale, e ha preso degli impegni scritti, formali!

Ha detto che la Regione avvierà un’operazione trasparenza, a cominciare dai dati sanitari relativi al nostro territorio, e sono drammatici! Ha detto che la Regione sospenderà ogni decisione relativa all’Inceneritore e all’ipotesi di Quarta linea. Ha detto che si verificherà quanto questo problema possa essere risolto da un incremento della raccolta differenziata, in particolare dai Comuni che non la fanno, e in particolare dal Comune di Napoli. Ha detto che sarà dato orientamento agli uffici regionali di non autorizzare l’installazione di nuovi impianti di trattamento rifiuti qui ad Acerra. Ha detto, e ha deciso, di dare vita a un Comitato di saggi, con cui verificare i programmi e le decisioni da porre in essere in futuro.

Io lo ritengo un risultato soddisfacente, ed è stato il frutto di un lungo cammino che ha visto muoversi in sinergia i Cittadini, In particolare voglio ricordare le famiglie e le madri con figli ammalati e morti, il Comitato, le Istituzioni locali, i magnifici Medici, che hanno dato un eccellente contributo, e se volete anche un pò la Chiesa, che ha tenuto unite le diverse anime in campo.

Certo, comprendo le perplessità espresse da alcuni, perché la Quarta linea non viene annullata ma sospesa. Ma bisogna riconoscere onestamente che la decisione della Regione Campania rappresenta, per il momento, un importante risultato per Acerra. Io credo sempre che l’ottimo può essere anche nemico del bene.

Intanto è stato avviato un dialogo, il dialogo. Natale è la festa del dialogo, ed è stato avviato un dialogo fatto di punti concreti, e il Presidente della Regione ci ha messo la faccia, ha preso degli impegni scritti molto precisi. Da parte mia non posso non dare fiducia.

Certo, inizia ora una fase delicata: verificare, vigilare perché gli impegni presi siano mantenuti. Collaborare per la loro realizzazione. Tutti, tutti! E rivolgo un appello alla Città, soprattutto a quelli scettici, cinici, dubbiosi. Non è questa la fase nella quale si devono alimentare tensioni e divisioni. La Città deve sapere soltanto trovare le ragioni dell’unità e della condivisione.

È con questa fiducia che vorrei dare a me, a voi, alla città di Acerra, l’augurio di un buon Natale del Signore Gesù: al Bambino Gesù, Principe della pace, principe del dialogo, chiediamo di benedire, accompagnare l’avvio di questo dialogo che ci auguriamo fecondo per tutti, fecondo di frutti per la nostra cara città di Acerra.

Non facciamo l’abitudine al Natale, al Presepe. Siamo innamorati come Francesco d’Assisi e come il grande Sant’Alfonso. Non abituati, ma innamorati. Questo è l’augurio che faccio a me e a voi. Non abituati ma innamorati.

«A me piace, o Presepio». Buon Natale del Signore a tutti voi.

 

Antonio Di Donna
Vescovo di Acerra