Quarto giorno – Giovedì 28 agosto 2025
Con la messa presieduta dal nostro vescovo Antonio, si è aperta stamattina nella Basilica di Capodimonte la giornata conclusiva della settimana liturgica nazionale, a Napoli dal 25 al 28 agosto.
Secondo giorno – Martedì 26 agosto 2025
Settimana Liturgica Nazionale: a Capodimonte la seconda giornata aperta dal Cardinale Crescenzio Sepe: “La liturgia, cuore della vita cristiana”
La Basilica del Buon Consiglio e dell’Unità della Chiesa, a Capodimonte, ospita la seconda giornata della 75ª Settimana Liturgica Nazionale, appuntamento che quest’anno richiama a Napoli studiosi, liturgisti, religiosi e laici provenienti da tutta Italia. La giornata si è aperta con la celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo emerito di Napoli, che ha offerto ai presenti una meditazione ricca di riferimenti biblici e pastorali.
Al centro dell’omelia, l’episodio narrato dall’evangelista Luca, quando Gesù, tornato a Nazaret, entra nella sinagoga e legge il rotolo del profeta Isaia. «Ha lavorato e partecipato, come tutti i suoi concittadini, alla vita della sinagoga», ha ricordato il cardinale, sottolineando come quel gesto di quotidianità si trasformi in un evento straordinario: «Gesù prende il rotolo, legge il passo di Isaia e afferma: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. È l’auto-presentazione del Messia, che concentra tutta l’attenzione su di sé».
In quel momento – ha spiegato Sepe – «la profezia non resta più soltanto parola scritta, statica, ma diventa parola viva, carne, persona: Cristo stesso». Da Nazaret al Calvario, Gesù «continua a compiere le Scritture nel suo corpo, fino a quel “Tutto è compiuto” che Giovanni colloca sulla Croce». Una dinamica che non si conclude con la morte, ma trova il suo compimento nella risurrezione e nell’assunzione al Padre: «Gesù continua a crescere per tutta la sua vita, fino a trasfigurarsi nella gloria».
Il porporato ha quindi collegato questa riflessione alla vita dei fedeli: «Come per Cristo, anche la vita di noi cristiani è una crescita continua. Siamo nati nel Battesimo e inseriti nel grembo della Chiesa, con il progetto di Dio che ci chiama a crescere. Non dobbiamo avere paura della vita, ma lasciarci plasmare dal suo sguardo attraverso gli eventi quotidiani».
La fede, ha aggiunto Sepe, «è gratitudine a Dio per i doni che ci offre giorno dopo giorno. Questa fede si fa preghiera e diventa liturgia, sorgente della nostra vita spirituale». Per questo motivo, ha ammonito, è fondamentale non ridurre la liturgia a formalismo esteriore: «Se diventa semplice rito vuoto, rischiamo di cadere nello stesso errore dei farisei, che avevano ridotto l’alleanza con Dio a una pura esteriorità. Al contrario, la liturgia è il vero culto che ci ha insegnato Cristo, è il cuore pulsante della nostra vita cristiana».
Il cardinale ha concluso la celebrazione affidando i lavori della Settimana Liturgica alla Vergine Maria, «che consacrò tutta la sua vita a Dio con amore puro e gratuito», e ha salutato i presenti con la consueta espressione augurale che richiama la devozione popolare napoletana: «’A Madonna c’accumpagne!».
Doriano Vincenzo De Luca
Mons. Castello: «Oggi la Chiesa rischia l’attivismo, ma senza contemplazione non c’è Vangelo»
«Di una cosa sola c’è bisogno». Il titolo scelto da S.E. mons. Gaetano Castello, vescovo ausiliare di Napoli, biblista ed esperto di dialogo interreligioso, sintetizza bene il cuore della sua relazione per la Settimana Liturgica su “Preghiera e azione: il Vangelo celebrato”.
Il punto di partenza è il celebre episodio evangelico di Marta e Maria. «Maria in silenzio, a piedi, appartata – ha sottolineato – ascolta la voce di Dio in un silenzio che non è vuoto, ma pienezza». A differenza della sorella Marta, affaccendata nel servizio, Maria accoglie Gesù nel cuore, ricordando che l’ospitalità vera non è solo in casa, ma nell’interiorità.
Azione e contemplazione, un intreccio inscindibile
Mons. Castello ha collocato l’episodio nel contesto del capitolo 10 di Luca: il dialogo di Gesù con il dottore della legge e la parabola del buon Samaritano. «Da un lato l’amore si traduce in azione concreta – ha spiegato – dall’altro è un’azione che apre alla contemplazione. Non esiste una contemplazione astratta: spesso è un gesto d’amore che cambia il cuore e porta a scoprire il volto di Dio».
Non a caso, subito dopo il racconto di Marta e Maria, il Vangelo propone il Padre nostro: la carità, l’ascolto e la preghiera sono tre dimensioni che si richiamano a vicenda.
La sfida del silenzio oggi
Il vescovo ha poi allargato lo sguardo all’attualità: «Viviamo in una società dove il silenzio non trova spazio. Siamo bombardati da stimoli e facciamo fatica a fermarci. Eppure senza silenzio non c’è ascolto, e senza ascolto non c’è contemplazione».
Ha richiamato l’esperienza del profeta Elia sull’Oreb, che riconosce Dio non nel fragore, ma in una “voce di silenzio sottile” (1Re 19,12). Un’immagine quanto mai attuale, in un tempo che corre senza sosta.
Il rischio dell’attivismo pastorale
Mons. Castello ha riconosciuto che anche la Chiesa vive questa fatica. «Siamo presi da mille attività pastorali, da emergenze sociali che ci assorbono. Tutto è importante, ma rischiamo di dimenticare l’essenziale: sederci ai piedi del Signore».
Ha ricordato il monito di Sant’Agostino: “Ciò che Maria ha scelto non le sarà tolto”. È la parte migliore, quella che radica l’agire nella contemplazione. Senza questa radice, anche l’impegno ecclesiale rischia di diventare solo attivismo.
Contemplare il cosmo, contemplare la storia
Interessante il richiamo alla creazione e al sabato biblico: «Il sabato è il coronamento della creazione, un invito alla contemplazione del cosmo come tempio di Dio». Allo stesso modo, la liturgia della Parola nasce dall’ascolto comunitario e dalla sua spiegazione: «solo dall’ascolto – ha ricordato – nasce un’azione efficace».
Maria, ha aggiunto il vescovo, diventa il modello della contemplazione che legge la storia con lo sguardo della fede, riconoscendo nella piccolezza umana la grandezza di Dio.
«Lasciarsi trovare da Dio»
Nella parte finale della relazione, mons. Castello ha insistito sull’urgenza di recuperare spazi interiori di silenzio. «Possiamo trovare Dio nella luce e nell’oscurità, nella gratitudine e nel bisogno. Ma a volte è Lui che ci trova, quando meno ce lo aspettiamo».
Un invito che si fa appello alla Chiesa di oggi: non avere paura di fermarsi, di ascoltare, di contemplare. Perché – ha concluso – «di una cosa sola c’è bisogno».
DA NAPOLI PARTE LA SFIDA DELLA SPERANZA: TRA PECCATONE GRAZIA, GUARDARE OLTRE
Intervista a don Francesco Asti, preside della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, a margine della 75ª Settimana Liturgica Nazionale
di Doriano Vincenzo De Luca
Napoli sta ospitando in questi giorni la 75ª Settimana Liturgica Nazionale. Tra riflessioni teologiche, momenti di confronto e celebrazioni, al centro dei lavori emerge un tema che interroga profondamente il nostro tempo: la speranza. Ma che cosa significa davvero sperare oggi, in una società che sembra spesso smarrita e senza orizzonte? Ne abbiamo parlato con don Francesco Asti, preside della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, che ci accompagna a rileggere la speranza alla luce del Vangelo, nella vita quotidiana dei cristiani, nel volto di Napoli e nel respiro della teologia.
In un mondo che sembra fare sempre più fatica a sperare, ha ancora senso parlare di speranza? Per i cristiani la speranza è Cristo stesso. Non si tratta soltanto di un sentimento o di un atteggiamento interiore: Cristo è la speranza in persona, come nostro Salvatore. Per questo la speranza si realizza concretamente nella vita di ciascuno di noi. La domanda rimane comunque pertinente: sappiamo ancora sperare? Io credo di sì. Per noi sperare significa avere la volontà di incarnare il Vangelo, che è soprattutto difesa degli ultimi, così come il Signore ci ha insegnato. E poiché il mondo continua a presentare difficoltà e limiti, la speranza rimane viva proprio perché ci spinge a superarli.
Ma come può oggi un cristiano dimostrare, testimoniare concretamente che si può ancora sperare? Il cardinale Parolin, ieri, ha citato san Paolo: “sperare contro ogni speranza”. Tuttavia, spesso anche i cristiani cedono alla tentazione di non sperare più. Come si fa, allora, a continuare a sperare? Il problema di oggi è che non riusciamo più ad avere l’incanto del domani. Siamo appiattiti sul presente, desiderosi di avere tutto e subito, incapaci persino di accettare la parola “sacrificio”, che oggi non si usa quasi più perché fa paura. E quando viene meno questa capacità di guardare oltre, si smette di pensare al domani e ci si chiude nel presente. Per uscire da questa visione piatta del tempo, i grandi maestri dello spirito invitavano a guardare al passato. I Padri della Chiesa, ad esempio, quando parlavano di speranza non si riferivano al presente, ma alla promessa di Dio. Una promessa che appartiene al passato ma che trova compimento nel futuro. Credo che anche noi oggi dovremmo riscoprire il nostro passato con uno sguardo capace di aprirsi con più chiarezza al futuro.
Napoli può essere considerata ancora una città di speranza? In una realtà ormai segnata dalla globalizzazione, le caratteristiche tradizionali della città sembrano a volte sopite. Quali segni di speranza intravede e in cosa dovrebbe ancora crescere la città in questa prospettiva? C’è un vecchio detto popolare secondo cui a Napoli ci sono tanti ladri quanti santi. Questa espressione non è altro che la conferma delle parole di san Paolo: “dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia di Dio”. Questo per dire che c’è sempre speranza. Non perché sia necessario il male per riconoscere il bene, ma perché proprio lì dove ci sono peccato, limiti e difficoltà, il cristiano non si chiude in sé stesso. Al contrario, guarda avanti, verso l’azione salvifica che Cristo ha compiuto per ciascuno di noi: promundi vita. Questo è il vero futuro.
Veniamo all’ultimo punto. La teologia, oggi, nella sua complessità e nelle difficoltà che sta attraversando, può ancora alimentare la speranza? Oppure la speranza rischia di restare soltanto un concetto astratto, relegato negli scaffali del passato, senza forza escatologica? A partire proprio dal convegno di questa Settimana Liturgica Nazionale possiamo rispondere che la teologia è intrinsecamente orientata alla speranza. La liturgia, infatti, è un costante invito a guardare al futuro, perché ci apre alla realizzazione dell’incontro definitivo con Cristo nella vita eterna. Ogni celebrazione liturgica è già oggi un pegno di ciò che vivremo pienamente nel domani di Dio. La teologia non può fare a meno della speranza, perché è riflessione critica sul mistero, ma allo stesso tempo è dialogo con Dio. È un parlare con Lui per parlare di Lui. Ed è in questo dialogo che si radica la speranza: una speranza che diventa stimolo alla ricerca, capacità critica, approfondimento del dato rivelato. In quel dialogo con Dio, infatti, c’è già racchiusa tutta la speranza.
Primo giorno lunedì 25 agosto 2025
Il nostro vescovo Antonio ha preso parte stasera nella Cattedrale di Napoli, insieme ai vescovi della Campania, ai Vespri di apertura della 75esima settimana liturgica nazionale a cui è seguita la prolusione del cardinale segretario di stato Pietro Parolin
Liquefatto il Sangue di San Gennaro ai Vespri della Settimana Liturgica
In occasione dei Primi Vespri che hanno aperto la 75ª Settimana Liturgica Nazionale, sono stati esposti in via del tutto eccezionale nella Cattedrale il busto e l’ampolla con il Sangue di San Gennaro. Alle ore 17.50 è stato dato l’annuncio dell’avvenuta liquefazione del Sangue del Patrono di Napoli.
Il prodigio, che accompagna da secoli la devozione dei napoletani, trova la prima testimonianza storica nel Chronicon Siculum del 1389. Nel corso delle celebrazioni per la festa dell’Assunta, il 17 agosto di quell’anno, le ampolle furono esposte in una solenne processione: la cronaca racconta che il liquido contenuto al loro interno si era sciolto “come se fosse sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo”. Un dettaglio che fa pensare che si trattasse della prima volta documentata del fenomeno, poiché la precedente Cronaca di Partenope (1382), pur citando vari “miraculi” legati a San Gennaro, non menzionava ancora la reliquia del sangue.
Napoli, 25 agosto 2025
Parolin apre a Napoli la 75ª Settimana Liturgica Nazionale: “Cristo è la nostra speranza incarnata”
Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, ha inaugurato oggi a Napoli la 75ª Settimana Liturgica Nazionale, evento che proseguirà fino al 28 agosto. Nella sua prolusione, il porporato ha sviluppato il tema “In te abbiamo sperato. Tu sei la nostra speranza”, tratto dall’inno Te Deum, sottolineando come Gesù Cristo non sia semplicemente “datore di speranza”, ma “è la speranza incarnata del Padre”.
Il legame tra contemplazione e azione
Parolin ha posto l’accento sulla dimensione “simbolica” della liturgia, che deve “collegare” contemplazione e azione, vita spirituale e impegno concreto. “Non può esistere schizofrenia tra il fare nella liturgia e il fare nella vita”, ha affermato, citando le parole di chi critica i cristiani incoerenti: “Tu vai in chiesa ogni domenica, e poi ti comporti male con il prossimo, non parli più con il tuo fratello, non visiti la tua mamma anziana”.
Liturgia inclusiva e ospitalità
Il cardinale ha invitato a una liturgia “inclusiva”, capace di suscitare stupore “nel bambino, nel ragazzo, nel giovane, nell’adulto, nell’anziano, nel disabile, nel migrante”. Ha sottolineato l’importanza dell’accoglienza nelle parrocchie italiane sempre più multiculturali, invitando a evitare di “ghettizzare la liturgia o gli oranti secondo la nazionalità o la lingua”.
Il dramma dei migranti
Parlando delle “rotte” migratorie, Parolin ha evidenziato come siano spesso “via crucis” fatte di “condanne, cadute, flagellazioni”, ma ha ricordato che i migranti “accompagnano le loro traversate con la preghiera” e sono “affamati non solo di pane e assetati solo di acqua, ma della speranza che viene dalla loro fede in Dio”.
Il riferimento a Gaza
Particolare risonanza ha avuto il passaggio dedicato alla situazione di Gaza: *“Si pensi a quei luoghi martoriati da conflitti o nei quali resta difficile vivere e testimoniare la propria fede attraverso anche la manifestazione del proprio culto; pensate alla Parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza City, colpita dai bombardamenti lo scorso 17 luglio e all’interno della quale sono morte tre persone e 9 sono state ferite e che comunque resta uno dei rari (se non l’unico) segno di speranza di quella terra devastata, dentro la quale non solo pregano ma hanno trovato rifugio e dimorano, presso il tempio di Dio, circa 500 cristiani. La casa di preghiera diventa la dimora e il rifugio del popolo di Dio e di qualsiasi persona perseguitato e oppresso, segno di sicura speranza.”*
Il dono della pace
Il cardinale ha anche riflettuto sul gesto liturgico della pace, spiegando che nella nuova edizione del Messale si è passati da “scambiatevi un segno di pace” a “scambiatevi il dono della pace”, per sottolineare che “non si tratta di un auspicio ma di una realtà che si sta già realizzando nella celebrazione”.
La conclusione ha richiamato l’immagine dantesca, ribaltandola: se Dante pone all’ingresso dell’Inferno “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”, per Parolin ogni chiesa dovrebbe avere la scritta “Nutritevi della speranza, voi che entrate”.












