Caro Roberto, non lasciarti rubare la speranza
Il vescovo di Acerra scrive a Saviano. Un’ampia sintesi del testo di monsignor Di Donna al giornalista e scrittore di Gomorra è stata pubblicata ieri dal Corriere del Mezzogiorno
«Addio ad una vita buttata in queste battaglie, e addio anche alla Terra dei fuochi, di cui nessuno si occupa più. È stato tutto inutile».
Caro Roberto (permettimi di chiamarti familiarmente così),
con queste parole hai concluso il tuo intervento pubblicato domenica dieci agosto dal Corriere della Sera.
Ho sentito il bisogno di scriverti, ma non solo a te; attraverso di te desidero rivolgermi a tutti quelli, e sono veramente tanti, che in questi anni hanno creduto, hanno lottato e lottano ancora nel territorio tristemente famoso come “Terra dei fuochi” e, forse, sono tentati di credere che è stato tutto inutile, e, in verità, i motivi per cedere al pessimismo ce ne sono e sono tanti, non soltanto “il pasticcio della maxi-confisca annullata in Cassazione ai Fratelli Pellini”. I motivi sono tanti, a livello locale nel nostro territorio e, soprattutto, a livello globale. A livello locale, come non ricordare che c’è voluta una sentenza emessa dalla CEDU per procedere ad alcuni provvedimenti, come sappiamo; ma come non pensare alle mancate riforme di leggi ancora inadeguate, di procedimenti archiviati, di processi che finiscono con assoluzioni, come riconoscono anche autorevoli membri dell’avvocatura e della magistratura. Ma i motivi per cedere al pessimismo sono tanti, soprattutto a livello globale, circa la cura della casa comune. Tali motivi si trovano in particolare nei documenti di un insospettabile … “pessimista”, il compianto Papa Francesco; egli, non tanto nella Laudato si’, della quale quest’anno si celebra il decimo anniversario, ma soprattutto nella successiva Laudate Deum, denuncia il fallimento dei vari vertici mondiali per il surriscaldamento globale del pianeta.
Mentre scrivo questa nota, insieme ai cittadini di Acerra continuiamo a respirare un’aria avvelenata. E proprio in queste ore vivo anch’io personalmente il dramma del “mio” Vesuvio che brucia, come già nel 2017. Per quell’incendio le indagini si sono concluse con un nulla di fatto.
Caro Roberto,
sono vescovo qui, nella Terra dei fuochi, da dodici anni e sono testimone dei tanti, ma proprio tanti, che lottano per la propria terra e per i propri ideali. Come molti già hanno detto nei vari post inerenti il tuo intervento: “Non è stato tutto inutile… nella terra dei fuochi ci sono tante persone che non si rassegnano, che continuano a lottare per la dignità del proprio territorio. Sono piccoli grandi combattenti, spesso lontano dai riflettori, sognatori capaci però di non far vincere la disperazione e l’abbandono. Sono persone comuni, senza incarichi e senza titoli, perfino senza volto… Non si avviliscono, anche quando sono derisi e accusati di allarmismo ingiustificato. Sarebbe facile dire basta, è stato tutto inutile, ma non lo fanno, non lo possono fare, lo devono ad un figlio o ad un familiare o ad un amico che si è ammalato. Lo devono a loro stessi, al fatto che questa è l’unica terra sulla quale possono vivere. E non sempre si perde, non si può perdere per sempre” ha scritto Giovanni De Laurentis.
Ma, dietro il tuo intervento, io colgo una domanda che va al di là dei fatti contingenti. Si può ancora sperare e perseverare ogni giorno per un ideale? È una domanda che, sia in un contesto laico che in un contesto religioso, ha direttamente a che fare con la fede. È quella, per intenderci, che ci fa impegnare per cose che non vedremo mai realizzarsi compiutamente, perché continuamente erose da avversari potenti o magari perché troppo difficili o perché lo spazio di una vita è troppo breve perché esse si compiano. Ne parla Martin Luther King in uno dei suoi sermoni: «Uno dei problemi più angoscianti dell’esperienza umana è che solo qualcuno di noi (o forse nessuno) riesce a vivere tanto a lungo da veder realizzate le proprie speranze più intime … Dopo aver lottato per anni per conquistare l’indipendenza il Mahatma Ghandi fu testimone di una sanguinosa guerra religiosa tra Indù e Mussulmani, e la conseguente separazione dell’India dal Pakistan distrusse il suo profondo desiderio di una nazione unita … Dopo aver pregato nell’orto del Getsemani che il calice passasse da Lui, Gesù bevve comunque e fino all’ultima amara goccia … I sogni infranti sono il segno distintivo della nostra vita mortale». Di fronte a questi “sogni infranti” ognuno di noi deve fare una scelta. C’è chi si scoraggia e rinuncia, e chi, viceversa, persevera fino alla fine, anche se sa che può fallire e che i suoi occhi non vedranno il compimento di quella speranza. Ma questa perseveranza rende la nostra vita piena di senso e di significato, sottraendola alla banalità. Si chiama, con il linguaggio cristiano, “speranza”. Charles Péguy, un poeta francese dei primi del ‘900 racconta che Dio non si stupisce tanto per la fede degli esseri umani e neanche per la loro carità; ciò che davvero lo riempie di meraviglia e commozione, invece, è la speranza della gente: «Che vedano come vanno le cose oggi e credano che domani andrà meglio». Perciò Papa Francesco ripeteva spesso: “Non lasciatevi rubare la speranza”, e, proprio nella Laudato si’, il documento sulla cura della casa comune, dopo un’analisi lucida e realistica di come stanno le cose, dice: «Eppure, non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, e ritornare a scegliere il bene».
“Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino” (Aldo Moro).
Con grande stima ed affetto
+ Antonio Di Donna
Vescovo di Acerra