Speranza per una terra ferita

Osservatore Romano | 18 Dicembre

All’agricoltura o ai rifiuti. Il futuro di una città, Acerra, terra fertile a nord di Napoli ma abusata da camorra e industria, si gioca da qui a pochi anni, mesi, forse giorni. Sul tavolo della regione Campania le richieste — legittime e legali — di altre dieci ditte per il trattamento di rifiuti di aprire i loro impianti nei 57 chilometri quadrati del territorio comunale a secolare ma umiliata vocazione agricola. Alla porta dei pubblici amministratori, però, bussano gli agricoltori (o i contadini come saggiamente preferiscono definirsi) che dal 2013 stanno riconquistando, centimetro dopo centimetro, zolla dopo zolla come coloni della loro stessa terra, quei campi che i più anziani avevano abbandonato allo sfruttamento industriale, all’inceneritore più grande d’Europa e agli sversamenti della criminalità e dei colletti bianchi. Sostenuti dalla Chiesa sono tornati a presidiarla e chiedono che non un solo centimetro di terra buona sia destinato al passato, quello che porta il marchio della terra dei fuochi, ma che tutto sia riconvertito al futuro, mettendo fra parentesi una storia disgraziata che negli anni ha portato nel duomo di Acerra una sequenza di bare bianche, mentre chi aveva l’autorità e la conoscenza per farlo si ostinava a negare l’evidenza del nesso fra ambiente e tumori.
È sulla carne martoriata di Acerra che una profezia universale cerca di farsi viva, via al futuro praticabile per tutti perché — oltre che visionaria — è l’unica realistica, pianificabile ed efficace. Antonio Di Donna, vescovo di Acerra da sei anni, dice che la sua missione pastorale sarà solo nella costruzione del futuro di Acerra, nel restituire speranza agli scoraggiati, dare strumenti a chi risale la china, imboccare la strada di un modello di sviluppo nuovo ed equo. La Chiesa farà la sua condannando i peccati mortali — fra i più gravi per Di Donna la perdita dei fondi europei per l’agricoltura —, sostenendo moralmente ed economicamente chi lotta per la terra e dicendo forte la verità.

Qual è la verità, dunque?
La verità sulla nostra gente, sul sud, sullo scempio ambientale innanzitutto è che una attenta regia ha caricato del marchio Terra dei Fuochi un solo territorio, a nord di Napoli e una regione più in generale. La prima verità da ristabilire — e conto che i vescovi contribuiscano a questa operazione verità — è che l’Italia è purtroppo piena di Terre dei Fuochi sulle quali si tace ottenendo l’effetto di scaricare su un solo capro espiatorio — Acerra e territorio — sentenza e condanna. Terra velenosa, dicono, destinata ormai, al massimo, alla vocazione di discarica e pattumiera, buona sola per essere abbandonata al destino di polo dei rifiuti, consegnandola anche a quelle dieci imprese di cui sopra. A questa menzogna mi ribello e mi schiero con la mia gente che, con tanti giovani, sta ritornando alla terra e la custodisce. Un punto che ci coinvolge tutti, io come i fratelli vescovi delle 69 diocesi delle Terre dei Fuochi, dalla Val d’Aosta alla Sicilia. 

Come le ha contate?
Basta leggere l’elenco dei siti di interesse nazionale a fini di bonifica: Piemonte, Lazio, Lombardia (Brescia, innanzitutto), Toscana, Sicilia, anche la Val d’Aosta, la Puglia… Amianto, discariche, impianti chimici, siderurgici, raffinerie, aree portuali, inceneritori. Il quinto anniversario della Laudato si’, a maggio, qui ad Acerra sarà il momento per radunarci fra confratelli vescovi
e dirsi che l’ecologia integrale è questione di assoluta primarietà.

In che modo?
Ci stiamo coordinando fra diocesi. Con la commissione episcopale per il servizio della carità e della salute della Cei stiamo preparando un evento qui ad Acerra per il quinto anniversario della Laudato si’. Confluiremo in città, ad Acerra, per coordinare un cammino comune con i confratelli di queste 69 diocesi. Per parlare della Laudato si’ nella sua dimensione profetica, pastorale e sociale per chiedersi se, cinque anni dopo la promulgazione, l’enciclica sia passata o no.

Lei cosa pensa?
Che, purtroppo, no, non è passata. È molto apprezzata anche in ambienti laici e distanti dalla Chiesa. Ma è un apprezzamento d’elite, intellettuale. C’è stato qualche timido tentativo nella Chiesa italiana, penso ad esempio alla comunità «Laudato si’», gruppi che fanno capo a Domenico Pompili, vescovo di Rieti. Però la ricezione del documento purtroppo, non è avvenuta. La verità è che non è passato nella pastorale ordinaria. I preti non ne parlano, non la insegnano, non ne predicano. Vorrei dire che non denunciano, non accompagnano. E a questo proposito a gennaio abbiamo intenzione, con gli altri vescovi campani, di affrontare il tema con i sacerdoti. Li abbiamo convocati e ci faremo, insieme, una domanda: «Perché è così scarsa la profezia?». La prima cosa, infatti, è coinvolgere i preti sull’urgenza della profezia. O l’ecologia integrale della Laudato si’ entra nei cammini di fede delle parrocchie o sarà un cammino di elite. Di elite ecclesiali, magari, ma non del cammino delle Chiese. La nostra ambizione, come vescovi campani, è quella di intraprendere questo cammino comunitario di fede, accompagnamento e denuncia nell’orizzonte dell’ecologia integrale. Sperando anche in un pronunciamento chiaro della Cei. 

Lei ha radunato pochi giorni fa in Episcopio i contadini, intesi non solo come individui ma come attori sociali in grado di determinare il futuro della città, emancipandola dal marchio della Terra dei Fuochi e indirizzandola verso un modello di sviluppo alternativo. Ha chiesto loro, e non è la prima volta, di essere i custodi della terra. Cosa significa?
Da alcuni anni, qui ad Acerra, si sta tentando un’operazione di ecologia integrale. Sono il primo a sapere che si tratta di un cammino lunghissimo: occorre, infatti, risalire la china e sconfiggere, prove e dati scientifici alla mano, la cattiva immagine che ci schiaccia, forse anche con un’accorta regia mediatica che aiuta la tendenza a continuare a impiantare nei nostri territori impianti altamente inquinanti. Come nel caso ora sul tavolo della regione Campania. Almeno una decina di impianti specializzati nel trattamento di rifiuti tossici che, con tutte le autorizzazioni e le carte in regola, vorrebbero impiantarsi qui. Sarebbe una condanna a morte. Voglio dirlo molto chiaramente agli aministratori. Terra che produceva tre raccolti l’anno, ora gravata dal più grande inceneritore d’Europa, non può essere ulteriormente sacrificata. Ai contadini si chiede di restare, essere presidio, organizzarsi, adottare modelli cooperativi (come chi già lo fa), fruire delle tecnologie che garantiscono prodotti salubri e sollevano l’uomo da tanta fatica. E, soprattutto, di non farsi clientes dei politici. Siate attori, non mendicanti di favori. I vostri padri hanno abbandonato la terra all’industria in cambio del posto fisso che li ha traditi e fatti ammalare. Voi custodite, coltivandolo, ogni singolo centimetro. Tanti giovani già lo fanno, e i prodotti della loro terra ormai sono ottimi. Benedetto si’ tu Signore, per i prodotti di eccellenza di Acerra, benedetto per le zucche, i carciofi, le mammarelle, le patate, i fagioli dent’e muorto, i calabricito, il sanmarzano e il cavolo torzella.

L’ecologia integrale non può ignorare altri attori sociali, in bene o male. La politica, la camorra e, vorrei aggiungere, la terra di mezzo dove possono incontrarsi all’ombra.
Tutto è connesso, nell’ecologia integrale dove il peccato — mortale — è anche quello di biocidio che si commette in molti modi. Ai politici si chiede di non gettare al vento, commettendo peccato mortale, i fondi europei per l’agricoltura. Si chiede di non firmare, pur nella piena legalità, la condanna a morte di Acerra abbandonandola ad altri impianti. Chiedo, come vescovo, la concretezza di un atto normativo per Acerra, a favore del mio popolo. Una moratoria di almeno dieci, meglio venti anni. Basta impianti e rifiuti. Acerra ha dato. Non uccidete il futuro. Occorre blindare il territorio dall’assalto di rifiuti e cemento. Non voglio attaccare l’inceneritore senza rendermi conto che, al momento, se mancasse la filiera collasserebbe. Ma una domanda la voglio fare. C’è un controllo reale, e sottolineo reale, su quel che brucia e quanto brucia? Si sa, al momento, che il controllore, l’Arpac regionale è anche nel Cda dell’inceneritore.

A Napoli si dice, chiedere all’acquaiolo se l’acqua è fresca…
Lo dice lei. Io sottolineo l’importanza dell’ingresso dei cittadini nella gestione di questo e altri impianti che influenzano la vita delle comunità, secondo la visione profetica della Laudato si’. Occorre una parte terza che abbia il controllo. Occorre che la città entri nella gestione. Dell’inceneritore e del futuro. Altrimenti restano zone d’ombra, lasciate anche all’altro attore sociale di cui dicevamo.

E La Chiesa, oltre alla predicazione, che può fare come attore?
La Chiesa ci mette, ci sta mettendo, l’accompagnamento spirituale, il sostegno; ma è disposta a mettere in campo tutta la sua autorità morale e anche il suo peso economico per sostenere chi vuole risalire la china.

In che modo?
Parlai tempo fa, e tornerò a farlo ora, di una sorta di brevetto, chiamiamolo bollino qualità per i prodotti della terra acerrana. La Chiesa, che accompagna questi agricoltori, si fa carico di garantire a chi consuma la bontà del prodotto con un marchio.

Made by ecologia integrale?
Può essere l’idea. Offrire una garanzia. In quanto al peso economico, si può destinare parte dell’otto per mille a chi vuole impegnarsi in un nuovo modello di produzione e custodia. La Cei e la diocesi stanno già sostenendo progetti simili. Sono disposto a continuare, verso un modello di ecologia integrale.

Siamo nel campo della politica?
In quello della profezia. E del futuro.
 
Chiara Graziani