L’omelia del Vescovo: Per una città degli onesti, dei giusti, degli uguali.

L’omelia di monsignor Antonio Di Donna alla Festa dei Patroni di Acerra

Il vescovo ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica con i parroci la mattina del 29 maggio in Cattedrale. Presenti Autorità civili e militari

E’ oggi la festa dei nostri santi patroni Cuono, o Conone, e Figlio Sono anzitutto martiri: il colore rosso dei paramenti liturgici, delle loro vesti, delle statue, indica la testimonianza resa a Cristo fino all’effusione del sangue. I santi Cuono e Figlio sono anzitutto martiri di Cristo, testimoni: fanno parte di quel lungo elenco di martiri di Gesù che nella Chiesa si chiama «martirologio» e che, ahimè, continuamente si arricchisce con i nuovi martiri dei nostri tempi, quei cristiani che hanno vissuto con coraggio la fede e, schiena dritta e testa alzata, sono andati a morire per Lui, ancora oggi in diverse parti della terra.

I nostri santi patroni, Cuono e figlio, provengono da una delle prime comunità cristiane evangelizzate dall’apostolo Paolo: Iconio. Lo abbiamo ascoltato nella prima lettura: Iconio è una comunità evangelizzata da Paolo, si trova nell’attuale Turchia, oggi si chiama Konya. Come ricorderete, l’anno scorso presiedeva al mio posto questa celebrazione l’amico fraterno padre Massimiliano Palinuro, vicario apostolico di Istanbul, il quale ci parlava appunto del cristianesimo in quelle terre lontane e delle prime comunità cristiane evangelizzate da Paolo, e soprattutto della condizione attuale dei cristiani in quelle terre, come in tutto il Medio Oriente: Palestina, Siria, Giordania, Turchia, comunità ormai minoranza ma che con forza testimoniano il Vangelo di Gesù in terre non più cristiane.

Anche quest’anno sono rientrato da pochi giorni da Roma dove c’è stata l’assemblea dei vescovi italiani e abbiamo ascoltato il vicario apostolico di Anatolia, Turchia meridionale, che comprende le terre devastate dal recente terremoto: monsignor Paolo Bizzetti. Una commovente testimonianza la sua in merito a come i cristiani vivono autenticamente il Vangelo in quei territori.

Cari amici sono questi, i martiri, i nostri veri «campioni». Assumo questo termine dal linguaggio sportivo, come recentemente abbiamo vissuto con la bella vittoria del campionato di calcio da parte del Napoli. I campioni, siamo contenti, diciamo forza Napoli, lo abbiamo detto, ci piace vedere anche le partite.

Ma sappiamo come ormai da tempo il calcio sia diventato un business, un grosso affare e quelli che il popolo, come un nuovo popolo pagano che adora il dio pallone, quelli che oggi noi chiamiamo i campioni dello sport non lo sono: i veri padroni del calcio sono i super agenti dei calciatori che gestiscono flussi immensi di denaro.

I veri campioni invece sono loro, sono i nostri martiri; i grandi campioni sono quelli che faticano ogni giorno: per la verità, per la giustizia, per la pace; i veri campioni sono quelli che tirano la carretta; sono le persone oneste e giuste, che non si piegano ai potenti, e pur pagando di persona testimoniano i valori fondamentali della vita sociale e umana, la giustizia, la democrazia, la verità.

Sono loro i nostri veri campioni, e noi li esaltiamo e li celebriamo. Essi sono come il chicco di grano di cui ha parlato Gesù nel Vangelo di oggi: sono caduti, è vero, sono stati abbattuti, uccisi, sembra che siano sconfitti, ma come il chicco di grano caduto in terra prima marcisce e poi fa fiorire la spiga, così sono i martiri di ieri, di oggi e di sempre, i nostri veri campioni.

I nostri antichi padri elessero Cuono e Figlio a patroni di Acerra anche per la configurazione del nostro territorio: secondo la tradizione, Cuono, Conone, era una sorta di ingegnere idraulico, e siccome le nostre terre anticamente soffrivano per inondazioni, terreni paludosi, aria malsana, essi elessero questi martiri, Cuono Figlio, anche in difesa e a patrocinio di una città con un territorio sempre fragile che aveva bisogno di patroni adeguati.

La festa dei Patroni, un po’ come accade in tutte le diocesi d’Italia, è ogni anno l’occasione perché il vescovo rivolga un discorso alla città nella sua totalità, cittadini e amministratori.

Permettetemi dunque di dire subito che quello del vescovo non è un potere, se non nelle cose spirituali, non si tratta di un potere concorrente. Il vescovo non fa concorrenza a nessuno, ma come un padre che incoraggia, e se necessario anche corregge, richiama alla città le ragioni morali, etiche della convivenza civile, perché senza queste ragioni morali, senza una tenuta morale, la politica e la democrazia sono una vuota rappresentazione.

Soprattutto per questa nostra città, che talvolta mi sembra una città sonnolenta, addormentata, una città senza intraprendenza, una città senza rivoluzione dice il nostro caro Gennarino Niola.

In primo luogo vorrei richiamare me e voi al fatto che abbiamo tutti bisogno di riscoprire il senso della comunità, del bene comune, una categoria fondamentale della Dottrina sociale della Chiesa, e viene prima del bene personale o di gruppo.

Sto notando in questi ultimi tempi che anche da noi sta aumentando l’individualismo, soprattutto la frammentazione. Vi confesso una cosa: quando sono stato nominato vescovo di Acerra, nel ricevere la Bolla di nomina del Papa, scritta in latino, mi colpì che il nome Acerra, in latino, è al plurale: per chi conosce un po’ di latino non è «Acerra, Acerrae» ma «Acerrae, Acerrarum».

E mi chiedevo che senso avesse, perché il nome della città di Acerra in latino fosse al plurale. Quante Acerre, mi chiedevo, ci sono ad Acerra? Scusate il gioco di parole.

E anche leggendo gli scritti del nostro monsignor Riboldi, che ricordiamo a 100 anni dalla nascita, scoprivo che in un’intervista di circa trent’anni fa diceva così: «Esistono tante Acerre ad Acerra, in questa città: c’è un’Acerra del Rione Madonnella, quella del Rione Gescal, un’Acerra del Quartiere ICE SNEI, un’altra del Centro storico e così via». Oggi come allora sembra che altre città si aggiungano alla città di Acerra: il progetto comunale, il cosiddetto PUC, sembra che qualche volta parli anche di Acerra uno e Acerra due, di aggiungere altre parti. Anche i nostri patroni sono due, non è uno, Cuono padre e Conello figlio.

Il plurale può essere positivo, la pluralità è ricchezza, è una bella cosa, ma può significare anche una città frammentata, una città divisa: abbiamo bisogno di riscoprire il senso della comunità. Si fanno tante belle cose in questa città, ma non sempre sono patrimonio di tutti, ma dico tutti i cittadini, nessuno escluso, non godute da tutti.

A partire, ad esempio, dal nascente «Comitato Cittadini Attivi». Da un’esperienza negativa, quale è stata mesi fa l’aggressione da parte di alcuni ragazzi nei confronti di loro coetanei inermi, violenza gratuita e immotivata, è venuta fuori l’iniziativa di alcuni genitori che si mettono insieme e decidono di reagire a tutto questo con un cammino di cittadinanza attiva.

E poi l’impegno di persone e di gruppi che spesso da soli, da soli, combattono contro l’inquinamento, e alcuni hanno protestato recentemente perché non giunge a termine questo processo, l’unico processo nel nostro territorio per disastro ambientale: non infierendo e al di là delle persone – soprattutto da parte del vescovo, e della Chiesa, che è padre di tutti, anche dei peccatori più incalliti – e rispettando l’iter giudiziario della magistratura, ma dobbiamo pur sapere la verità, cosa è successo in questo territorio anni fa; dobbiamo pur sapere i volti, i nomi, che stanno dietro al disastro ambientale che è stato compiuto!

Anche l’animazione digitale, multimediale, del Museo archeologico, l’ultima novità arrivata, è una bella notizia, e dobbiamo rallegrarci di questo con l’Amministrazione comunale. E lo stesso vale per la musica, fiore all’occhiello: l’ho sempre detto, Acerra è una città musicale, io che vengo da fuori, almeno da dieci anni spero di essere più piantato nel territorio, devo riconoscere che un’eccellenza di Acerra è la musica, il fiore all’occhiello della nostra città.

Ma le cose belle, che pure si fanno, di cui ci vantiamo, e ci vantiamo pure su Facebook, e in tanti, modi devono essere patrimonio di tutti, non devono diventare terreno di scontro, un veicolo di lotta politica tra una parte e l’altra. Sono cose belle e devono essere di tutti, patrimonio di tutta la città.

Ad esempio, non so se sia vero, ma la concessione a privati della gestione di cose pubbliche, magari anche con una vera e propria svendita, non va bene! La partecipazione dei privati nella gestione dei beni pubblici deve corrispondere a precisi interessi generali, perché sono beni della città! E anche se li devi gestire un privato, una società privata, il bene, la finalità pubblica deve sempre prevalere sugli interessi privati.

In secondo, dopo il senso della comunità, penso che dobbiamo riscoprire come città di Acerra il senso della partecipazione, della democrazia tutto sommato, partecipare alla cosa pubblica!

Noi siamo cittadini, non siamo sudditi, non dobbiamo essere sudditi: quando uno si sente suddito, ed è trattato da suddito, significa che non stiamo crescendo, la città non cresce. E la città non è un feudo di questo o di quello, e non deve essere trattata come un feudo. Noi siamo cittadini, tutti!

Un grande italiano, come l’ha chiamato il presidente Mattarella l’altro giorno, andando a Barbiana, il prete don Lorenzo Milani, che aveva messo sulla sua scuola di Barbiana il motto inglese «I Care», «Mi interessa», che è l’esatto contrario del «Me ne frego» e dell’indifferenza.

Si «I Care», a noi interessa, a me interessa la democrazia, interessa la giustizia! Papa Benedetto XVI nella sua prima Lettera enciclica «Deus caritas est» parlando del rapporto della giustizia con la politica cita una frase del grande Agostino: «Uno stato che non fosse retto secondo giustizia che cosa è se non una grande banda di ladri?». E’ una frase terribile di Agostino: quando un gruppo umano, a tutti i livelli, non è retto dalla giustizia si riduce a una grande banda di ladri.

C’è un deficit di democrazia nel nostro paese: parlo in generale, per l’Italia, per tutti i paesi, per le nostre città, sia chiaro! E una questione generale, e di fatto è significativo che la Chiesa italiana la Conferenza episcopale nazionale abbia ritenuto opportuno dedicare la Settimana sociale dei cattolici italiani, l’anno prossimo a Trieste, proprio a questo tema, la democrazia, la tenuta della democrazia nel nostro Paese.

Non si può gestire l’amministrazione di tutte le città e i paesi, in Italia, da noi, come se fossero un affare privato. L’epoca dei conti è finita da un pezzo, rimane il nome storico, Castello dei Conti, via del Conte D’avalos, ma questo è finito da un pezzo, i conti non ci sono più.

C’è un crescendo della politica fatta spettacolo, scontro verbale accompagnato anche da minacce talvolta, una politica intesa come luogo del successo, il palcoscenico di personaggi vincenti. C’è una logica del conflitto, che intende tutto nel quadro della relazione amico/nemico, a maggioranza e opposizione, consenziente o dissenso; amico/nemico, dove con l’amico si ha tutto in comune, e con il nemico non si ha nulla in comune. E’ la logica del “con me o contro di me”, “o stai con me e hai tutto, o stai contro di me e non hai niente”.  Mi risulta, da uomo del Vangelo, che uno solo nella storia era degno di dire questa parola: “O con me o contro di me”, gli altri non possono usarla, solo Lui, solo a Gesù, perché è la Verità!

Quasi si scrive il nemico nella black list, e chi osa dissentire viene messo nella lista nera. Sì, c’è un deficit, dobbiamo riconoscerlo umilmente, non possiamo negarlo, c’è un deficit di democrazia in questo Paese. Bisogna che attiviamo percorsi di “cittadinanza attiva”.

Sono stato ad Assisi nei mesi scorsi con i giovani, e passando per le strade mi ha colpito un manifesto della sindaca che diceva: «Domenica prossima l’Amministrazione comunale incontra i cittadini».

Quante volte a partire dalla mia città di origine, Ercolano con il mio sindaco, a Portici dove sono stato parroco, qui ad Acerra da dieci anni, quante volte ho ribadito che ci deve essere maggiore dialogo tra Amministrazione comunale e cittadini, ma non su Facebook, non serve a niente, ma il rapporto diretto, la relazione diretta.

Non me ne vanto, e non lo dico per vantarmi, vorrei essere creduto: ma possibile che solo la Chiesa offra periodicamente luoghi e momenti di confronto in questa città? Che ci vuole a stabilire momenti, luoghi, incontri periodici di confronto? Animato, certo, ma mai sottrarsi al confronto, al dialogo, in cui l’Amministrazione dice sulle sue ragioni, spiega quello che fa, dicono come la pensano, se non sono d’accordo, se sono d’accordo. Anche per le parrocchie, dovete sapere, poi non so se lo fanno, ma quest’anno ho dato il programma diocesano, in cui ho detto alle parrocchie che nel contesto del cammino sinodale, mi piacerebbe che oltre al Consiglio pastorale parrocchiale, ci fosse una volta all’anno in una parrocchia l’assemblea parrocchiale, un luogo e un momento in cui i battezzati, tutti, nessuno escluso, partecipino.

Così dunque non mi stanco di invocare momenti di maggiore occasione di dialogo tra quelli che hanno una responsabilità tremenda di governare di amministrare, da un punto di vista ecclesiale o civile.

Sono ancora dei punti sospesi: devo dirvi soprattutto che in questa situazione la questione ambientale sta diventando sempre più marginale. Mi ero illuso fino a qualche mese fa che fossero diminuite le morti di ragazzi e di giovani: ci avevano dato una tregua, e io stavo coltivando la speranza che forse fosse finita questa tendenza, ma proprio a tre, quattro giovani tra i 20 e 30 anni, qui ad Acerra, morti nelle settimane scorse mi hanno fatto perdere questa speranza. Non sta rallentando il flusso e il disastro ambientale compiuto sta mietendo ancora giovani vittime, c’è una ripresa. Perciò non bisogna allentare la guardia né spegnere i riflettori su questo punto.

E la salute. A parte il fatto nazionale, che si va verso lo smantellamento della situazione sanitaria nazionale, speriamo che questa autonomia differenziata non pregiudichi ancora di più tutto questo. Ho chiesto consiglio ad alcuni medici di Acerra e mi hanno dato ragione: le analisi, le medicine, gli esami clinici, i centri convenzionati con sistema sanitario sbloccano l’accettazione delle ricette entro il 10/15 del mese, poi l’utente è costretto a pagare per intero, cioè praticamente ci si avvia, se così fosse, a un’assistenza sanitaria non gratuita, che sparisce.

E che dire dell’agricoltura: gli agricoltori vengono a sfogarsi da me, spesso sono costretti a dormire nei campi per tutelare i prodotti, le attrezzature, per la mancanza di sicurezza; spesso i clienti preferiscono acquistare i prodotti altrove, perché è difficile accedere ai campi di produzione agricola; spesso dei campi gli agricoltori si trovano di fronte a sversamenti illeciti di rifiuti; spesso gli agricoltori acerrani non usufruiscono di un centro di stoccaggio. E soprattutto la mancanza di cooperazione: questa è atavica, questa mentalità dei contadini, e non solo ad Acerra, di non mettersi insieme, di accontentarsi delle briciole del potente di turno, piuttosto che cooperarsi, collaborare e mettersi insieme, e questa mancata cooperazione porta ad escludere il settore dell’accesso ai fondi agricoli sovracomunali.

E che dire poi della sicurezza, della povertà educativa, delle povertà sociali: si fa tanto, devo dire la verità, soprattutto l’ufficio preposto dall’Amministrazione, con cui collaborano anche le nostre Caritas diocesane e le nostre Caritas parrocchiali. Fanno veramente miracoli.

Attenzione però vorrei dire agli amministratori: non tagliate le spese sociali, perché non è giusto che mentre si assumono figure forse pure necessarie all’amministrazione, ma in numero non strettamente necessario, poi si tagliano le spese sociali e si dice che non ci sono soldi. Tagliate tutto, ma non le spese sociali! Tagliate tutto ma non le spese per i poveri e gli ammalati, per quelli che hanno bisogno di assistenza.

Ambrogio, sant’Ambrogio citato dal cardinale arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, per il quale io prego e affido a voi stamattina a conclusione della mia omelia: «Quant’è fortunata quella città che nel suo seno ha molti giusti». E’ per questa città che io prego, è per questa città che supplico i nostri Patroni, padre e figlio, perché la nostra città sia la città degli onesti, dei giusti e degli uguali.

 

Antonio Di Donna