L’omelia del vescovo del primo gennaio – Maria, Madre di Dio

Questa del primo gennaio è una celebrazione carica di significati. Sono almeno tre i motivi che la guidano: anzitutto, il più importante è che siamo nell’Ottava del Natale del Signore, e oggi la Chiesa celebra la Festa Solenne di «Maria, Madre di Dio».

Perciò, l’attenzione si sposta dal Bambino, che è nato, a «sua Madre»: così la chiamano i vangeli dell’infanzia di questi giorni: «Il Bambino e sua Madre», già prima che la Chiesa – in maniera ufficiale nel 431, durante il Concilio di Efeso – proclamasse ufficialmente il dogma, la verità che Maria, avendo concepito e partorito il Figlio di Dio fatto uomo, è da venerare con il titolo di «Theotókos», che in greco antico vuol dire «Madre di Dio».

Il secondo motivo, sapienziale, ricco di significato, segna oggi il Primo Giorno dell’Anno Nuovo, e sappiamo con quanta forza è stato atteso questo duemila ventuno.

Infine, il terzo: da più di cinquant’anni, dal lontano 1968, per volere del papa Paolo VI, la Chiesa dedica il primo giorno dell’anno ad una grande causa. Oggi è la Giornata mondiale della Pace.

 

Maria, Madre di Dio. La festa mariana più importante in assoluto

Il ruolo chiave della Vergine nel Mistero dell’Incarnazione del Signore

 

Con questo titolo la chiesa venera la Madonna: nella seconda parte della preghiera semplice, quotidiana, dell’Ave Maria, diciamo: «Santa Maria “Madre di Dio”, prega per noi peccatori». Questa è la verità profonda di Maria, alla base di tutto il mistero di questa donna: perché è Madre di Dio, Maria è stata concepita Immacolata, senza peccato; perché è Madre di Dio, Ella è stata assunta in Cielo in anima e corpo. La festa di oggi è la più importante, in assoluto, della Madonna.

Ovviamente, il titolo di «Madre di Dio» si riferisce al Mistero dell’Incarnazione: Natale significa “Nascita, Natività”, ed è una bellissima parola che continuiamo ad usare, ma se vogliamo approfondire il Mistero che è accaduto con il “Natale di Gesù”, la parola più tecnica è “Incarnazione”. La fede cristiana deve essere anche pensata, ragionata, perciò dobbiamo andare alla profondità del Mistero: «Il Verbo si è fatto carne». Il Figlio di Dio ha preso il nostro corpo, si è fatto uomo! E il perché questo bambino, chi è questo bambino, lo vedremo a Dio piacendo, proprio durante la domenica seconda dopo Natale, in cui la liturgia prevede la grande e solenne pagina del Vangelo secondo Giovanni: «In principio era il verbo, e il verbo era presso Dio […] E il verbo si è fatto carne».

Il titolo di «Maria, Madre di Dio» fa dunque riferimento all’“Incarnazione”. Maria è la Madre di Dio perché ha concepito Gesù, vero Dio e vero uomo: per la fede della Chiesa, noi crediamo in Gesù vero Dio e vero uomo, una sola cosa. Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio si è fatto carne, è nato da Maria, da una donna. Lo ha detto Paolo, nel brevissimo brano della Lettera ai Galati della seconda lettura: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo figlio, nato da donna».

E’ l’unico riferimento a Maria nelle lettere di Paolo, importantissime, che leggiamo ogni domenica. Paolo è il grande teologo della fede cristiana, un grande apostolo, e noi attingiamo tanto della nostra dottrina dalle sue lettere, eppure in esse c’è solo questo riferimento a Maria, l’unico; anzi, non la cita nemmeno, non dice neanche il nome, bensì: «Nato da donna». E il fatto che sia «nato da donna», significa che Gesù è veramente uomo e veramente Dio. Gesù è l’uomo Dio, è il Figlio di Dio che si è fatto uomo. Questa è la fede della Chiesa: umanità e divinità in Lui sono una cosa sola, Egli è l’unica persona del Dio fatto uomo, del Verbo incarnato. Gesù non è mezzo uomo e mezzo Dio – quando fa i miracoli è Dio, e quando mangia è uomo – ma l’unica persona del Figlio di Dio, il Figlio eterno, il Verbo che si è fatto carne.

A parte la venerazione, la devozione della gente semplice, degli umili e dei poveri hanno questa grande devozione, l’affetto filiale verso la Madonna, nostra madre, il ruolo di Maria è molto più importante e supera il nostro affetto e la nostra devozione. La festa di «Maria Madre di Dio», mette in rilievo la parte di questa donna nell’Incarnazione del Figlio di Dio, perché se Gesù è nato «da donna», significa che questo Bambino nasce da lei, è suo, è veramente uomo. «Il Figlio di Dio si è fatto uomo Gesù, ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza di uomo, ha agito con volontà di uomo, ha amato con cuore di uomo. Nascendo da una Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi, eccetto che nel peccato», afferma con queste bellissime parole il Concilio Vaticano II. Il Giusto per eccellenza, se non fosse veramente uomo come noi, se non avesse veramente preso la nostra carne mortale, non ci avrebbe salvato. Questo Bambino è uomo come noi, ma è il Figlio di Dio. Ecco la vertigine: Dio che si fa uomo, l’Onnipotente, l’Immenso, l’Infinito che si fa circoscrivere nel limite della storia, nella carne umana, c’è da farsi venire le vertigini! Come è possibile che rimane Dio, ma poi è uomo? Come mettere insieme le due cose, come è possibile che «Colui che i cieli, e i cieli dei cieli, non possono contenere» si è fatto piccolo embrione? Cristo è stato embrione, un feto per nove mesi nell’utero della Vergine: e meno male che il Signore è buono, non ci schiaccia con il suo Mistero, e noi continuiamo a vivere, perché se pensassimo veramente alle profondità del Mistero ci sarebbe veramente da farsi venire le vertigini! Come è possibile? Questo è il grande mistero! Quest’unione tra Dio e uomo, ben più di una fusione, l’unica persona di Dio che si è incarnato: se non avesse preso la nostra carne, non ci avrebbe salvato, e noi saremmo ancora schiavi dei nostri peccati. Crediamo nell’umanità di Gesù, oltre che alla sua divinità! Crediamo alla sua vera umanità! Dio non ha finto, non si è rivestito della nostra natura per modo di dire, bensì ha avuto fame e sete, ha avuto gli amici, ha sofferto, è cresciuto – come leggiamo nei vangeli dell’infanzia che stiamo ascoltando in questi giorni: «E il Bambino (Gesù) “cresceva” in sapienza, età e grazia». Trent’anni a Nazareth, giorno per giorno: non snobbiamo la vera umanità di Gesù! Solo Dio poteva essere uomo così.

 

Il Nuovo Anno sotto la protezione di Maria

Il futuro non lo possiamo conoscere, e meno male. Affidiamolo alla Provvidenza di Dio

 

Oggi vogliamo mettere sotto lo sguardo della Madre di Dio anche il nuovo anno che inizia. Facciamo anzitutto memoria del passato, dell’anno che è finito, che non è da dimenticare.

Le parole si sprecano: è un «anno orribile», brutto, da cacciare via. Certo, è stato un anno molto difficile, ma piaccia o meno è stato un tempo che ci è stato dato, è un anno della nostra vita, ci appartiene, non possiamo far finta che non sia esistito. E poi, diciamolo, non c’è stato solo tanto male: quanto bene, che non si può dimenticare, proprio la pandemia ha sprigionato? Tanti gesti coraggiosi, eroici, da non dimenticare!

Il libro della Bibbia, dell’Antico Testamento, il Qoelet, piccolo ma molto bello, dice che «c’è un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per piangere e un tempo per ridere; un tempo per abbracciarsi e un tempo per astenersi dagli abbracci». Abbiamo dunque sperimentato che c’è tempo e tempo, perché la vita è così.

Dopo avere fatto memoria del tempo passato, il nostro sguardo va al futuro, ai trecentosessantacinque giorni che ci aspettano, un futuro che non possiamo conoscere, e meno male! L’anno scorso, in queste ore, stavamo festeggiando il duemilaventi, senza neanche lontanamente immaginare quello che ci avrebbe riservato. Spero non ci siano più i buontemponi, o semplicioni, che vanno da fattucchieri, indovini e chiromanti – non ne sento più parlare – per sapere cosa accadrà, dimenticandosi di vivere giorno per giorno, perché è un grande dono del Signore non farci conoscere il nostro futuro. Quando due giovani si sposano – giorno bellissimo, immagino e spero – se conoscessero per filo e per segno cosa li aspetta nei lunghi decenni da vivere insieme, si sposerebbero più? Magari tornerebbero indietro! E allora, una piccola dose di rischio, fantasia e sana incoscienza porta a questo gesto. Noi vorremmo conoscere il futuro, l’uomo vorrebbe dominare, possedere il tempo, ma non ci è concesso!

Affidiamo il futuro alla Provvidenza del Padre che è nei Cieli, recuperiamo questa parola, un po’ messa da parte, che non è il cieco fato, il destino greco, ma l’Amore del Padre che veglia su di noi, che «nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo», un Padre per il quale «anche i capelli del nostro capo sono tutti contati», dice il Vangelo. Affidiamo il futuro alla Divina Provvidenza, con l’augurio e la consapevolezza che «nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio in Gesù Cristo», neppure la pandemia, la nostra fragilità, la morte; neppure il nostro peccato!

Chi vive così, proteso verso il futuro con questa serenità di fondo, certo dovrà affrontare pure gli imprevisti, le difficoltà, gli ostacoli, ma il credente è fiducioso, e si abbandona alla Provvidenza del Padre. Perché sa che Dio è buono e, anche se certe volte non riusciamo a comprendere il suo disegno: ma chi siamo per voler capire Dio? «Se tu capissi Dio, due sono le cose, o Dio non è più Dio, o dovresti essere tu Dio», non c’è una terza ipotesi; «le mie vie non sono le vostre vie, i miei pensieri, dice il Signore, non sono i vostri pensieri.

Affidiamo a Lui con fiducia il futuro che ci aspetta! Certo, poi c’è una parte che dipende da noi, perché se è vero che ci sono eventi che non dipendono da noi, fatti indipendenti da  noi, perché succedono, accadono, è vero anche che molte cose invece dipendono da noi, dalla nostra libertà, dalle nostre scelte, dalle nostre responsabilità, ed è inutile affidarsi agli oroscopi, che mettono sempre tutti d’accordo, e dalla lettura dei quali usciamo sempre contenti e rassicurati; non ci affidiamo nemmeno a quelli scienziati che attribuiscono i fatti ai “geni” che portiamo dentro, come se tutto fosse già scritto e determinato, addirittura anche quando un ragazzo e una ragazza si innamorano? E mentre anticamente si scomodava il dio “cupido” che lanciava le frecce, e poi dopo sono arrivati gli oroscopi, oggi, sbarazzatici di cupido, sbarazzatici degli oroscopi, se uno si innamora di un altra, secondo alcune tesi scientifiche è perché nel suo dna era già scritto di chi si sarebbe innamorato!

Allora affidiamo il futuro alla Provvidenza di Dio. Memoria, futuro e presente.

Il presente è quello che ci interessa di più: dalla memoria dobbiamo andare al futuro, ma dobbiamo vivere giorno per giorno, certo con una prospettiva, programmi e obiettivi, ma attenzione: «a ciascun giorno basta la sua pena», dice Gesù, perciò «non vi affannate per il domani», non vi stressate, «non vi preoccupate di che cosa mangerete e di che cosa berrete».

 

La Giornata Mondiale della Pace

La Chiesa dedica il primo giorno dell’anno a questa grande causa

 

Ultimo motivo di questa celebrazione è che la Chiesa dedica il primo giorno dell’anno alla grande causa della pace. Ogni anno il papa dà un tema, e quello del 2021 è “La cultura della cura come percorso di pace”. Il prendersi cura, che è esattamente il contrario della parola indifferenza. Attenzione, dice il Papa: «L’indifferenza può essere un virus peggiore del covid». Il non interessarsi di niente e di nessuno. Invece il contrario è il prendersi cura: lo diceva già il grande don Lorenzo Milani, che sulla porta della scuola di Barbiana, vicino Firenze, quando faceva scuola ai suoi ragazzi aveva scritto una frase semplice inglese: «I Care», cioè «mi interessa», non sono indifferente, questa cosa mi interessa. La cura degli altri, la cura del creato, che bel tema!

 

Cari amici scenda su di voi la benedizione di Aronne che abbiamo ascoltato nella prima lettura, lo Shalom, che io vi do per tutto l’anno: è il saluto degli ebrei, che è molto più di pace, perché significa benessere, salute, amore, amicizia, cura degli altri, che ha anche il corrispettivo in lingua araba per i musulmani.

Vi auguro Shalom, pace per questo anno che comincia, ma soprattutto la benedizione di Aronne che abbiamo ascoltato nella prima lettura, e che fece sua il grande san Francesco, che proprio sulla Verna, in quella esperienza mistica, prima di ricevere le stimmate, nel cuore della sua ormai configurazione a Cristo Crocifisso, lascia al suo grande amico frate Leone, che lo assisteva continuamente e aveva una grande venerazione per lui, scrivendola su una cartula: «Ti benedica il Signore, ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te, e ti sia propizio; il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace». Shalom a voi per tutti i giorni di quest’anno!