La forza dell’umiltà

XXII domenica del TO_C

Oggi incontriamo Gesù in una scena conviviale, ad un pranzo da un capo dei farisei. Dalla vita quotidiana Gesù prende spunto per farci conoscere il Padre, il suo amore per tutti gli uomini, a partire dai più poveri ed esclusi. Dall’osservare come gli invitati prendono posto a tavola, vuole aiutarci a prendere coscienza dei nostri modi di agire, con la sua parola apre la nostra mente, illumina il nostro cammino, con la sua vita ci mostra il modo di agire di Dio, il suo stile di vita.
La nostra vita è fatta di gesti semplici, ordinari come quello di prendere posto a tavola, fare la fila ad un ufficio, accettare un invito o invitare qualcuno a pranzo. Gesù ci dice che in questi gesti è racchiusa la nostra intenzione più profonda, la nostra considerazione di noi stessi e degli altri. Nella mente di chi sceglie i primi posti c’è l’idea di averne diritto, di meritarlo, la pretesa di essere servito dagli altri perché più importante. È l’idea presente tra i suoi discepoli – quindi anche tra noi – che si chiedono chi è il più grande tra loro (cf Lc 9,46). Le parole di Gesù oggi, quindi, non riguardano il galateo, ma sono un’esortazione ad imparare da lui che è mite ed umile di cuore (cf Mt 11,29), ad assumere la logica del Regno di Dio, ad imparare a valutare onestamente se stessi e a cercare non solo i propri interessi (avere il posto migliore anche a costo di toglierlo agli altri), ma ad adoperarsi per il bene di tutti. Infatti, Gesù «non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7): è venuto non per prendere il primo posto ma per far posto a tutti nella casa del Padre (cf Gv 14,2-3), è venuto non per essere servito ma per servire (cf Mc 10,45) fino a chinarsi ai piedi degli apostoli e lavarli (cf Gv 13,3-5), fino a farsi trattare come l’ultimo dei malfattori lasciandosi inchiodare sulla croce per abbassarsi e stare vicino ad ognuno e per dare a tutti la vita (cf Gv 10,10). Questa è la logica di Dio, diversa dalla nostra (cf Is 55,8). Sì, la nostra logica è lontana dalla sua, ma in Gesù e nutrendoci di lui noi riceviamo la forza e la motivazione per assumere il suo modo di fare, per amare come lui ci ama; ci rendiamo conto di aver ricevuto tutto da lui e quindi di non perdere niente se ci comportiamo come lui si è comportato, se scegliamo con lui l’ultimo posto: «Se Cristo è vivo e abita in noi, nel nostro cuore, allora dobbiamo anche lasciare che si renda visibile, non nasconderlo, e che agisca in noi. Questo significa che il Signore Gesù deve diventare sempre di più il nostro modello: modello di vita… Fare quello che faceva Gesù» (Papa Francesco).
La logica di Dio è la logica della gratuità: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini…». L’assegnazione dei posti nel Regno di Dio non segue i nostri cerimoniali, né è frutto di strategie per arrivare prima degli altri o di sgomitate per farsi spazio tra la folla, ma segue la gratuità dell’amore. Il Signore si fa vicino a ciascuno di noi e dice: «Amico, vieni più avanti!» riempiendo il nostro cuore di gioia. Gesù suggerisce di invitare i poveri, gli storpi, gli zoppi, i ciechi, quelli che Papa Francesco chiama “gli scartati”, quelli che non hanno nulla e non possono ricambiare. Prendere coscienza che tra questi ci siamo anche noi non è mortificante, anzi, significa essere tra gli invitati di Dio, beati, e non dobbiamo rammaricarci di non poter ricambiare se siamo coscienti dell’infinita grandezza del suo dono. Non solo Dio ci invita alla sua mensa, ma lui stesso si fa nostro cibo: «la sproporzione tra l’immensità del dono e la piccolezza di chi lo riceve, è infinita e non può non sorprenderci. Ciò nonostante – per misericordia del Signore – il dono viene affidato agli Apostoli perché venga portato ad ogni uomo» (Desiderio desideravi 3). Infatti, lui invita alla sua mensa noi che nella nostra povertà non possiamo ricambiare la grandezza infinita del suo dono. E lo fa con gioia perché da noi non vuole nulla in cambio, noi gli offriamo ciò che lui stesso ci ha dato, il pane, il vino «frutto della terra e del lavoro dell’uomo» e lui in cambio ci dona se stesso. È la bellezza della gratuità: essere liberi da ogni condizionamento, da ogni pretesa e gustare la libertà dei figli di Dio.
Essere umili, dunque, non è una debolezza, ma la forza di chi riconosce che tutto è dono gratuito di Dio e che questi «resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (1Pt 5,5), come canta Maria nel Magnificat: «ha guardato l’umiltà della sua serva… ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,48.52). Dove c’è un cristiano, allora, non può mancare l’umiltà, l’attenzione verso gli ultimi, la promozione del bene di tutti.
Ognuno quanto più ha la consapevolezza dei doni ricevuti da Dio, più diventi umile per essere solo da Lui esaltato.

d. Alfonso Lettieri