Cosa resta di umano ad una società se non è capace di proteggere e accudire i più piccoli?

Nella mia testa e nel mio cuore continua a risuonare il nome di Giovanni, il bambino di 11 anni di Napoli che si è tolto la vita seguendo, a quanto sembra, le istruzioni di un gioco.

Associare la parola suicidio ad un bambino di 11 anni mi fa accapponare la pelle e il biglietto, lasciato alla mamma e al papà in cui confessava il suo amore per loro ma anche il suo “dover” seguire l’uomo nero, mi lascia basito, inerme, amareggiato, impotente, sfibrato.

Come siamo potuti arrivare a tutto questo?

Mentre ci commuoviamo, giustamente, dinanzi ad un cucciolo di qualsiasi specie, abbiamo atteggiamenti di menefreghismo e chiusura nei confronti di altri esseri umani …

Giovanni è, infatti, solo l’ennesima vittima di un mondo in cui oramai l’infanzia è rubata, osteggiata,  deturpata e spesso e troppo presto dimenticata. Chi ricorda gli orrori della rete di pedofili, residenti anche in Italia, che, attraverso l’accesso a delle stanze rosse, guardavano e ordinavano gli stupri, le mutilazioni e le uccisioni di poveri bambini? Chi ricorda il corpo del piccolo Aylan, riverso senza vita sulle coste turche e, come lui, le migliaia di vittime delle guerre e delle migrazioni?

Cosa ci resta di umano in questa società se non siamo capaci di proteggere i più piccoli? Come possiamo dinanzi a tutto questo voltare lo sguardo, girare la faccia e andare avanti?

Ci piace raccontarci che le nuove generazioni siano il futuro, eppure continuiamo a depredare il loro presente, incuranti di pensare al domani.

Non ci fermiamo a pensare ai nostri figli, ai bambini, ai giovani e corriamo, spesso senza meta, costantemente presi dalla necessità di evadere da un mondo che non ci piace, ma che in fondo accettiamo e stancamente subiamo e non facciamo nulla per renderlo migliore.

Abbiamo perso la voglia di lottare per ciò in cui crediamo e ci ingolfiamo in situazioni inutili e prive di significato, discutiamo del nulla mentre intorno a noi i piccoli muoiono e con essi, pur senza accorgercene, anche noi e le nostre speranze di un futuro diverso.

Continuiamo a non comprendere che le nostre parole, dette e/o scritte, e le nostre azioni hanno un peso, un peso specifico. Ciò che oggi digito e faccio nella parte ovest del mondo ha ricadute nella parte est. È l’Effetto Farfalla: “Il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”. Piccole azioni possono generare grandi cambiamenti.

Quello che noi viviamo in questo dato momento storico, la pandemia e quant’altro, deve farci comprendere che siamo tutti connessi: un virus, affacciatosi per la prima volta in Cina, si è diffuso in tutto il mondo, nessun Paese escluso.

Se non cominciamo, a partire da subito, a cambiare il nostro modo di pensare e agire avremo altri Giovanni, come altri prima di lui, e continueremo ad assistere inermi a quanto avviene.

Se non comprendiamo che non esiste la via del successo facile, se non insegniamo ai nostri ragazzi a vivere il fallimento, che è e sarà sempre inevitabile, se non insegniamo loro il valore del sacrificio e anche delle rinunce, ci ritroveremo in un mondo incapace di accettare la gioia e la felicità altrui, come l’omicidio della giovane coppia di Lecce insegna.

In un mondo in cui abbiamo smesso di sentirci creature e abbiamo iniziato il nostro cammino di onnipotenza, in una società sempre più egoistica e priva di amore e alterità, corriamo il rischio di smarrirci come esseri ontologici. La sensazione è che ci stiamo “macchinizzando”. Dopo aver costruito questo mondo pseudo perfetto, con il mito del super Io che si è andato sempre più estremizzando, ci stiamo rendendo sempre più conto delle nostre fragilità, che abbiamo semplicemente voluto ignorare.

Se non avvertiamo il grido della terra, dei semplici, degli umili, dei fragili, dei piccoli andremo incontro ad un futuro di disumanizzazione. Se non smettiamo di correre, senza fermaci ad incrociare gli sguardi, senza posizionare gli occhi l’uno in quelli dell’altro, avrà vinto questo mondo senza l’uomo e senza Dio:  «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato» (Mc 9, 35-37).

Non tutto è perduto, ne sono certo. Non tutto è perduto se ripartiamo dai piccoli, se mettiamo al centro del nostro parlare, agire, ragionare, loro. Una ricetta tanto antica eppur tanto nuova indicataci già da Gesù.

Ognuno di noi può essere artefice di una piccola rivoluzione culturale, se lo vuole. Quello che decidiamo di dire o di non dire, di fare o di non fare, influenza la vita delle persone che incontriamo ogni giorni, dei nostri figli.

Siate consapevoli di questo e decidete che tipo di messaggi volete inviare al mondo ogni giorno. Non sottovalutate mai il vostro contributo, nemmeno per un secondo, potrebbe cambiare il mondo.

Don Stefano Maisto

vicario foraneo di Acerra