Alziamoci. Alzati, svegliati, mettiti in piedi Acerra

L’omelia di Pasqua del vescovo Antonio Di Donna

Abbiamo appena ascoltato, ancora una volta quest’anno, l’annuncio più sconvolgente della storia umana: «Gesù, il Crocifisso, è risorto dai morti».

«Veramente, veramente è risorto» dicono i nostri fratelli di Oriente.

Questa è, direi, la pretesa della fede cristiana: che un morto è risorto, è vivo, ed è il Signore Gesù.

Eppure cari amici, vi confesso, dobbiamo essere onesti, io provo un certo disagio, soprattutto in questi anni, a proclamare la risurrezione del Signore in un tempo difficile. Una difficoltà e un disagio che formulo così, in breve: noi celebriamo la Risurrezione, ma sapendo che non siamo ancora risorti; noi confessiamo la fede nella vittoria di Cristo sul male e sulla morte, ma lo facciamo in una storia che continua ad essere sfigurata dal male della morte; noi cantiamo l’alleluia della Pasqua, come abbiamo appena fatto, ma siamo consapevoli che nella nostra gola continuano ad abitare il grido dell’angoscia e il silenzio dello smarrimento.

Che senso ha celebrare la Pasqua in questo contesto, come uscire da questo disagio? Certo, abbiamo le nostre vie di fuga, chiamiamole così, per risolvere il dilemma. Ne cito alcune.

Qualcuno dice: «La risurrezione è un fatto che riguarda solo Gesù, al massimo siamo disposti a credere che riguardi anche noi, ma quando verrà, quando sarà»; oppure, di fatto riduciamo la risurrezione del Signore all’immortalità dell’anima, confondiamo che l’anima è immortale con la Risurrezione, che è tutta un’altra cosa; o ancora, leggiamo la Risurrezione, la Pasqua come una festa simbolo della rinascita, non a caso cade in primavera quando la natura si risveglia; o come un simbolo che il bene prevarrà  sul male, che l’amore è più forte della morte.

Ecco, potrei aggiungere altre concezioni simili a queste, le vie di fuga nelle quali ci rifuggiamo quando troviamo questo disagio, perché parliamo di Risurrezione in una storia che è ancora sfigurata dal mare e dalla morte. Dico subito che queste concezioni, e altre simili, non soddisfano, sono riduttive, non aiutano ad uscire da quel dilemma, da quel disagio, anche perché l’annuncio cristiano della risurrezione di Gesù dai morti, la pretesa del cristianesimo, come ho detto all’inizio, è altro.

Quelli che credono che la Risurrezione sia un fatto che riguarda solo Gesù, e al massimo noi quando sarà, stanno fuori strada, perché per la fede della Chiesa la risurrezione di Cristo è un fatto cosmico, universale, riguarda l’Universo intero, e riguarda già oggi la vita del mondo, e non solo Gesù o quando avverrà per noi, per i nostri morti.

Quelli che credono che la Risurrezione sia di fatto l’immortalità dell’anima stanno fuori strada, perché non c’era bisogno di Gesù Cristo per l’immortalità dell’anima, c’erano già arrivati i filosofi greci, Platone, Aristotele: che bisogna c’era di Gesù Cristo? Per cui l’immortalità dell’anima non avrebbe niente a che vedere con la risurrezione della carne …

Oppure, quelli che leggono la Risurrezione, ho detto, come un simbolo della rinascita, che il bene prevarrà sul male, insomma un fatto simbolico, un modo di dire, per cui festeggiamo Pasqua ogni anno per affermare questa rinascita, pure questi stanno fuori strada …

Perché la fede che viene dal Vangelo, ho detto all’inizio, pretende di dire che Gesù Cristo è risorto nel suo vero corpo, altro che simbolo …! «Veramente è risorto» dicono i greci: «Alithòs anesti», «veramente è risorto», non è un puro simbolo, non è semplicemente un modo di dire!

La Veglia Pasquale

E allora, come se ne esce? Voglio fare un tentativo, per me e per voi, perché possiamo celebrare la Pasqua del Signore, pure nei drammi della vita che stiamo vivendo a livello mondiale, a livello del nostro Paese, a livello personale e familiare. Come uscire da questo disagio?

La fede cristiana, guardate, non si limita ad affermare che nell’esperienza di Gesù alla morte è seguita la vita. I Vangeli, soprattutto quello secondo Giovanni, dicono chiaramente che nella morte c’è già la vita, in quella morte c’è già la vita, quella sconfitta del Crocifisso è vittoria, quel fallimento è salvezza! Noi, per fare un esempio, pensiamo che o è notte o è giorno. Invece la fede fa della notte il giorno, perché la luce brilla nelle tenebre. Voglio spiegarmi ancora meglio: la maggior parte di noi, forse anch’io, la pensiamo a così: c’è il Venerdì santo, la Croce, è c’è la domenica di Pasqua, la Risurrezione, e questi due giorni restano in qualche modo staccati l’uno dall’altro, c’è un giorno di tristezza e poi un giorno di gioia, la gioia succede alla tristezza.

Ma non è così, non è così nella liturgia cristiana, nella preghiera, in questi giorni!

Secondo l’insegnamento della fede, espresso soprattutto nella tradizione della liturgia che stiamo celebrando in questi tre giorni, la successione da un giorno all’altro non è una semplice sostituzione, cioè non è un giorno accanto all’altro, il Venerdì accanto alla domenica di Pasqua, cioè la tristezza non è semplicemente rimpiazzata dalla gioia, ma è essa stessa, la tristezza, trasformata in gioia, cioè la vittoria germoglia all’interno stesso della sconfitta, non sono due tempi, due momenti diversi, uno accanto all’altro.

Insomma, non si dà, non c’è il Cristo della croce e il Cristo della gloria, il Cristo della morte e il Cristo della vita: secondo la liturgia, la gloria di Dio è stata crocifissa, il Cristo crocifisso è già il Cristo glorioso, la luce splende nelle tenebre perché si consegna alle tenebre, si fa sopraffare dalle tenebre, le affronta, ci sta dentro, le attraversa, e così le vince, così la luce vince le tenebre, manifestando dentro le tenebre, e dentro la morte, che attraversa, di cui si fa carico, la gloria, la gloria di un amore più grande, che non ha esitato a donare se stesso, e ha vinto l’odio e la morte, il peccato del mondo, attraversandoli, andando dentro, immergendosi nelle tenebre.

Allora, la luce della Pasqua non è una luce che viene dall’esterno e si scontra con le tenebre, è bensì all’interno, matura dentro le tenebre, e si consegna alle tenebre, la luce «venne» ed è stata nelle tenebre, «ma le tenebre non l’hanno vinta». Perciò la luce, debolezza di un amore che condivide e che compatisce, è capace di assumere le tenebre e di condurle nella luce.

Dio vince le tenebre non dall’esterno, ma immergendosi dentro, attraversandole: questo è quello che precisamente intende la fede della Chiesa attraverso la sua liturgia; al punto che la liturgia non parla di tre giorni, uno accanto all’altro, distinti, ma al singolare: il «Triduo» del Signore crocifisso, sepolto e risorto. Non tre giorni ma uno, senza distinzione di tempo; non prima la tristezza e poi la gioia, sarebbe una sorta di happy end, una storia con lieto fine, una favola. Ma non è così!

Perché ho fatto questo lungo ragionamento? Perché questa è la caratteristica della fede cristiana, di Pasqua: Dio vince il male e la morte, il peccato, attraversandoli, standoci dentro, le tenebre hanno incorporato la luce, la luce si è fatta attraversare dalle tenebre, ha lasciato che le tenebre la attraversassero, ma le tenebre non l’hanno sopraffatta.

Dico questo perché allora possiamo celebrare la Pasqua pur vivendo ancora il dramma della morte, del peccato e dei mali della storia, possiamo celebrare la Pasqua anche attraverso i mali del nostro tempo, attraversandoli, stando dentro, perché abbiamo questa consapevolezza che solo attraversandoli, solo immergendosi dentro i mali della storia del mondo, possiamo vincerli. E sono i mali di sempre.

Perciò, come ogni anno, lascio una sorta di messaggio alla città: attraversare i mali, soprattutto del nostro ambiente, i mali di sempre, l’inquinamento ambientale che ci attanaglia ancora, la qualità dell’aria, che è sempre pessima, le centraline che continuano a sforare e non si fa niente, nuove aziende, nuovi impianti che trattano rifiuti, che continuano ad insediarsi nel nostro territorio, ci si continua ad ammalare e morire.

A tal proposito sto maturando in questi ultimi tempi un’idea bizzarra, credo che si possa parlare di razzismo, non c’è solo il razzismo di persone contro persone di altre razze, c’è anche un «razzismo ambientale». Perché sempre questo territorio? Perché, per esempio, i rifiuti non vengono trattati, o aziende che trattano i rifiuti, non si impiantano altrove, in delle zone «bene», Milano o al Vomero, o altre realtà, e invece sempre qui, quasi che questo territorio e queste zone siano ormai votate a questo destino, quasi che il sistema dominante per mantenersi abbia bisogno di queste zone, le «zone sacrificio», come le chiamano? Ho maturato questa idea leggendo quello che avviene in Amazzonia, a quei popoli che soffrono molto più di noi a livello macroscopico il dramma dell’inquinamento ambientale, lì alcuni stanno maturando questa idea e le chiamano «zone sacrificio», cioè zone sacrificate proprio per questo, ma non in modo casuale, bensì voluto, è il sistema in se stesso che per mantenersi ha bisogno di alcune «zone sacrificio», e ditemi voi se questo non può essere chiamato razzismo, razzismo ambientale, sì esiste anche il razzismo ambientale!

E poi, nella nostra città, in questo clima «surreale» che si sta attraversando da un po’ di tempo, un ambiente politico e amministrativo privo di riferimenti chiari, privo di ruoli definiti, privo di scelte precise, in questo clima surreale che stiamo vivendo da alcuni mesi, oltre all’inquinamento, oltre al mancato decollo dell’agricoltura, che sarebbe un vero volano dell’economia del territorio; oltre a discutibili scelte urbanistiche, che hanno stravolto le strade di Acerra con conseguente traffico e così via; oltre all’abbandono del Centro storico, con negozi che chiudono e la desertificazione di questo Centro storico, soprattutto la sera; oltre ai tentativi di speculazione edilizia, anche attraverso quello strumento che è il Puc; oltre tutto questo, recentemente, negli ultimi mesi, come se non bastasse, si è aggiunta un’altra emergenza: l’emergenza sicurezza della città.

La Veglia Pasquale

Questa non è più una città sicura, e mi riferisco a bande di ragazzi, talvolta anche tredicenni, quattordicenni, agli episodi di violenza immotivata gratuita, non lotte tra bande, ma bande di ragazzini che aggrediscono in maniera immotivata altri ragazzi o giovani inermi, che stanno lì in piazza, per la strada, per farsi compagnia tra loro, per uscire.

E’ vero, si tratta di una situazione che certamente viene da lontano, ed è il prezzo che paghiamo ad anni, decenni in cui è stata smantellata la famiglia, ogni forma di controllo sociale, e un controllo sociale parte anzitutto dalla propria famiglia: dietro questi ragazzi, questi baby gang, dove stanno le famiglie? Non esistono!

Ma è una situazione che mi preoccupa molto, si tenta da parte di qualcuno a ridimensionare il fenomeno: «sono episodi isolati … ma in fondo tutto sommato la città è sicura» qualcuno dice, ma non è così, non è vero, perché questi episodi si ripetono da alcuni mesi sistematicamente, li veniamo a conoscere attraverso le denunce che alcuni genitori fanno, ma molti non denunciano.

Mi ha commosso molto il video di uno di questi genitori, una persona seria, Adriano, il figlio Fabrizio è l’ennesima vittima dell’aggressione violenta di alcuni ragazzini, e in questo video Adriano ha rivolto un appello accorato alla città, in particolare al sindaco, un grido che ho condiviso e ho rilanciato a mia volta. Adriano, con coraggio e indignazione, con la diligenza del buon padre di famiglia, ha osato dire quello che tutti dovremmo dire e fare ogni giorno, al fine di risvegliare la speranza di un avvenire diverso per Acerra.

Dobbiamo fare qualcosa, è in gioco il futuro dei nostri ragazzi, la sicurezza della nostra città: se così, in maniera improvvisa, immotivata, un gruppo di ragazzini bravi, di buone famiglie, si vedono aggrediti, all’improvviso, e alcuni devono ricorrere pure alle cure dell’ospedale; se questo è il futuro della nostra città, ma di quale sicurezza stiamo parlando?

Attraversare Acerra, da Via Diaz a Piazza Castello, dopo una certa ora di sera quasi incute paura! Non si può tollerare che un ragazzo venga colpito dalla violenza cieca di suoi coetanei per il solo gusto di picchiarlo! E che dire delle aggressioni agli operatori sanitari della clinica Villa dei Fiori, il vandalismo in qualche scuola, il calcio della pistola in testa ad un povero lavoratore di una tabaccheria?

Anch’io mi unisco a questi genitori, e chiedo al sindaco, alla Polizia municipale, alle Forze dell’ordine, di fare ciascuno la sua parte, ognuno deve fare la sua parte, la famiglia, la scuola, anche la Chiesa lo farà, ma soprattutto l’Amministrazione comunale e le Forze dell’ordine.

Soprattutto, lo dico con molto rispetto e affetto perché apprezzo il loro lavoro, mi rivolgo alla Polizia municipale. Capisco che molto spesso hanno le mani legate dalle leggi, specialmente verso i minorenni, che sono garantiti e tutelati, anche i minorenni che sono violenti, ma io chiedo alla Polizia municipale, che sta nei vari punti della città a mettere multe e a controllare che le macchine abbiano l’assicurazione e stiano in regola – tutto giusto, io rispetto questo lavoro per la legalità, per il rispetto delle leggi – ma mi chiedo, chiedo a me e chiedo a loro: in questo momento, con questa emergenza, in questo momento di emergenza così grave, di bande che scorrazzano per la città, ma qual è l’urgenza del momento, qual è l’emergenza, mettere le multe o invece presidiare il territorio, essere presenti nel territorio per evitare che tutto questo accada?

Chiedo fortemente alle Forze dell’ordine questo: dobbiamo fare qualcosa, al più presto, tutti, prima che sia troppo tardi, e prima che questa città diventi, come alcune città vicine, soprattutto Napoli, ostaggio di violenza cieca di ragazzi che in età adolescenziale emulano modelli dei territori vicini, con il rischio di rendere Acerra un luogo ancora più deserto, specialmente dove i giovani si radunano per trascorrere alcune ore serene insieme.

In particolare chiedo ai genitori – sto in continuo contatto con Adriano ed altri – che sull’esempio di Adriano ritrovino il coraggio di parlare, di denunciare, e di farlo insieme, in gruppo, non isolatamente, di ribellarsi a una situazione che troppo spesso ha il sapore della sudditanza e del compromesso.

L’emergenza educativa è molto seria, oserei dire, più seria dell’emergenza ambientale, più seria dell’emergenza dei rifiuti; l’emergenza educativa è molto seria, perché si tratta del futuro dei nostri ragazzi e di questa città.

Cari amici, mi colpisce quando leggo i testi originali, i testi greci dei Vangeli, i quali quando parlano della risurrezione di Gesù usano in greco due verbi, che significano «si è alzato», indicano l’alzarsi: «Gesù è risorto», in greco è «si è alzato, si è messo in piedi», ha assunto la posizione eretta, al contrario di quella dei morti che è supina, orizzontale. Chi è vivo si è alzato, ha assunto la posizione eretta, si è svegliato. Gesù il Crocifisso, quello che è stato deposto nel sepolcro, si è alzato!

Alziamoci, alzati Acerra, svegliati Acerra, mettiti in piedi, non stare nella posizione del morto, supina, orizzontale, ma alzati!

Alcuni mesi fa, un articolo sul New York Times titolava così: «La marea montante della tristezza mondiale». Ed esibiva dati, statistiche sulla «tristezza mondiale». Nel mondo c’è come una cappa di tristezza che avanza sempre di più. E di fronte a questa marea montante di tristezza mondiale, l’autore dell’articolo diceva: «Dobbiamo riscoprire il desiderio». La forza del desiderio, il desiderio come mancanza di qualcosa, e perciò la spinta a desiderare, cioè a non accontentarsi mai, per non cadere nella marea della tristezza. Il desiderio è energia, il desiderio è una forza che allarga l’orizzonte, contrasta la marea della tristezza mondiale.

Auguro a me e a voi la forza del desiderio, per contrastare questa marea montante di tristezza, questa cappa di tristezza che ci attanaglia e ci rende angosciati.

Come al solito evito gli auguri di Pasqua dicendo semplicemente «Buona Pasqua», ma li formulo con le parole e il saluto dei nostri fratelli e sorelle delle chiese di Oriente. In lingua greca, quando il giorno di Pasqua si salutano e si danno gli auguri, l’uno dice all’altro: «Christòs anesti», l’altro risponde: «Alithòs anésti», e cioè l’uno dice: «Cristo è risorto», l’altro risponde: «è veramente risorto».

Lo diciamo anche noi adesso, insieme: «Cristo è risorto, è veramente risorto».